MAI ABROGATO!?
premessa di don Camillo
Il Messale in uso prima del 1970, non è stato mai abrogato (o meglio si dovrebbe parlare più di vigenza, di norma giuridica liturgiche che di Messale Tridentino tout court) . 7 Luglio 2007: Papa Benedetto XVI precisa che la forma antica del Rito Romano non è mai stata abrogata, e dichiara che essa, «per il suo uso venerabile e antico», dev'essere tenuta da tutti «nel debito onore». Ma se il Messale Ordinario per la Chiesa fino al 1970 (che ora è Straordinario) non è stato "mai abrogato", perchè il Papa ha fissato una data 14 settembre 2007 affinché potesse essere di nuovo utilizzato senza la pena canonica che pesava sul sacerdote che utilizzava il Messale Tridentino, che in realtà non è stato mai abrogato? E poi, Benedetto XVI dichiara solennemente che non è stato abrogato, ma come spiegarlo al Papa Paolo VI che in più riprese ha detto che in realtà è stato abrogato? Come interpretare questa sua dichiarazione, per esempio, con la famosa allocuzione al Concistoro Segreto del 24 maggio 1976 secondo la quale il Papa Paolo VI afferma: «Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II», e rafforza questa affermazione precisando che: «L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo.»?
Chi ha ragione Paolo VI o Benedetto XVI? Di per se Benedetto XVI dichiara il "non abrogato" ma non dimostra la sua non abrogazione. Sembra un po' come coloro che dichiarano i Documenti dell'ultimo Concilio in continuità con i precedenti (ma che in realtà non lo sono) ma non si dimostrano con documenti alla mano. Dichiarare la non abrogazione presuppone che il Papa Paolo VI non fosse Papa, e non fosse in grado di legiferare. Prima di leggere l'interessante studio del rev.don Antony Cekada vorrei fare una premessa che spero non vi annoi.
Vorrei sempre
che d'ora in avanti si tenesse valido questo principio di analisi scientifica.
Quando si parla di validità di un rito, di un sacramento, di una cosa
qualsiasi, io mi riferirò (e sarebbe bene che anche i credenti vi si
riferissero così) a tali concetti, in termini di coerenza interna, e non in
termini di verità ontologica o di fede personale. Infatti ritengo che sia
indispensabile, per un qualsivoglia approccio scientifico alla materia,
anzitutto scindere quello che è il dato personale-privato. Credere o non
credere, stimare o non stimare, avere simpatia o antipatia per qualsiasi
argomento, non deve pregiudicare l'indifferenza metodologica nei confronti
dell'analisi dell'argomento medesimo. Sostenere (per fare un esempio), che la Messa nuova sia invalida, perché ad uno non piace, è una idiozia. Sia perché si
proietta quello che è un dato personale-privato, che è ininfluente ai fini
della determinazione di una realtà che sussiste in sè, e non mediante colui che
la pensa, sia perché fondamentalmente la realtà ontologica non è dimostrabile.
Questo è fondamentale da considerare (e da tenere presente per tutte le volte che
si parlerà di Dio, di Grazia, di validità, di efficacia, e di tutte quelle
belle cose invisibili che non si sa se esistono oppure no, e se agiscono, non
si sa dove, come e quando): non è possibile discettare sulla validità di un
sacramento o l'efficacia di una grazia, se non in termini di coerenza interna
con il sistema/paradigma di riferimento. Cioè dire, "secondo i criteri, le
norme, i principi, le regole, della religione, se sussistono tali condizioni,
SI DICE che avvengano tali effetti". Lo dico perchè potrà essere che per
brevità, in futuro possa parlare con un linguaggio semplificato su sacramenti
validi, Presenza Reale, e cose di questo tipo. Peraltro è un criterio che
consiglierei anche ad un certo tipo di Tradizionalismo che ama parlare di
"Messe invalide" per mancanze di "intenzione", come prassi,
nell'ambito del rito nuovo (ossia sempre, in pratica).
Non è
materialmente (umanamente) possibile stabilire se un'ostia è abitata dalla
divinità o meno, nè distinguerla da un'ostia di semplice pane, nè prima, nè
durante, nè dopo la consacrazione. Dio non si vede. Non si vede nè con il rito
vecchio, nè con il rito nuovo. Pertanto, se è vero che uno può dire che in
teoria, secondo i criteri di coerenza interna, qualora manchi l'intenzione del
ministro, il sacramento non si produce, non è possibile in nessun modo
stabilire dove, come e quando questa fattispecie si realizzi. Sicuramente, va
considerata risibile la pretesa di immunizzarsi dal difetto di intenzione,
bisbigliando SOLO prima della "prima Messa" una formula di "intenzione
per tutte le Messe a venire".
Tale mente
riflette una mentalità giuridicista tipicamente degenerata. Il tridentinismo è
vittima di una visione giuridicista fortemente farisaica, e non ho problemi ad
affermare che tale visione, deriva in qualche modo dal tomismo. Infatti la
scolastica in sè, è un modo sano di usare la ragione e di addivenire ad un
sapere metafisico che sia complementare al sapere fisico. Purtroppo però
ingenera spiacevolmente una tentazione razionalista, ossia di riuscire a
inquadrare tutta la realtà incasellandola in una, due, tre, cento, mille,
centomila, centomilamilioni di categorie. Purtroppo non è possibile avere
questo dominio totalizzante sul reale, perchè qualche aspetto comunque
sfuggirà. Tuttavia, il razionalismo, come forma mentis degenerata, prende le
mosse dalla scolastica, e con la sua mania di voler definire e regolare tutto,
dà origine da un lato, al giuridicismo; dall'altro dà origine all'illuminismo,
e a Kant, giacchè è proprio la perdita di vista del principio base della
metafisica (esiste una realtà spirituale, e lo spirito è MISTERIOSO e come tale
va considerato, SACRALE) ha lasciato scoperto un metodo nudo e crudo. Se tutto
si può misurare e incasellare, se anche lo spirito può essere incasellato, allora
lo spirito viene sottovalutato, parificato concettualmente a tutte le altre
eventualità, ridotto a norma, a rubrica, a un Dio che esegue gli ordini
riportati sul libro, che appare laddove il prete dica le determinate parole,
sapendo che mentre si occlude la M
di "meuM" esso è presente, mentre se si sta finendo di pronunziare la U, allora esso è assente. E ne
ho sentiti fare di ragionamenti in questa maniera. Ebbene, essere a questi
livelli, significa essere già assolutamente kantiani. Che ha poi fatto Kant? Ha
detto liberamente che lo spirito non può essere conosciuto, ossia ha scoperto
l'acqua calda, ha detto che il re era nudo: i cattolici si rifiutavano già da
secoli di conoscere lo spirito, giacché per "conoscerlo" lo avevano
razionalizzato. Tuttavia mantenevano l'ipocrisia di chiamare il tutto
"metafisica". Giustamente Kant riordina il tutto, e da Kant viene
Hegel e da Hegel Marx. E così si scopre che Marx è l'ultimo anello che ci lega
a san Tommaso. Non devono storcere il naso quelli che non vedono cosa c'entri
Marx con il pensiero europeo ed occidentale. E' invece semplicemente il punto
d'arrivo di questo pensiero degenerato, cui i certi cattolici con le loro manfrine hanno
aperto la strada.
Non dovrebbe
affatto stupire questo, perchè semplicemente è questione di tempi.
L'immanentismo evolve, e se uno è metafisicamente immanentista, come questi
scolastici che SANNO se una Messa è valida o invalida, perchè nei loro
cervellini le regolette tric e trac hanno determinato l'onnicomprensività del
reale e nulla vi sfugge, sarà poi solo questione di tempo, come è avvenuto
anche per gli altri a suo tempo. E se sembra inverosimile che possa avvenire
questo ricorso storico, dato che uno dice "ma già è successo storicamente
questo fatto, ovviamente non si può ripetere l'errore, dato che essi esistono
proprio come reazione all'errore", posso gaiamente fare l'esempio dei
tradizionalisti (generici) che esistono per reagire alla degenerazione, alla
sperimentazione, alla innovazione della liturgia che è avvenuta inquinando il Messale tridentino negli anni 50-60, e ora intendono andare avanti con la loro
fede, facendo con 50 anni di ritardo quello che Bugnini aveva già fatto nei
tempi corretti, ossia innovare il Messale vecchio, con aggiunte,
sperimentazioni, reciproche fecondazioni, ecc.
Pertanto, si
dica che una Messa in cui manchi l'intenzione prossima, è a rischio secondo le regole,
ma non si osi dire di più, perchè nessuno ha l'intenzionometro, l'ostiometro e
altri strumenti che sarebbero necessari per verificare se la grazia si produce
o meno. Anche perchè ben credo che per ciò che potrebbe mancare supplisca comunque
l'intenzione generale della Chiesa. Ecco.
Gli articoli
che propongo sono di sedevacantisti, questo non significa che io li condivida.
Condivido l'analisi, ma escludendo ciò che riguarda il sedevacantismo. Ritengo
che il difetto del sedevacantismo, stando alla coerenza interna con la teologia
cattolica, sia una esasperazione dell'infallibilità Papale (questo lo si evince
bene leggendo l'articolo di Cekada), che non ha alcun senso. E' quindi un
errore per eccesso che porta alla conseguenza di non avere mai Papi, essendo i Papi ideali come superomizzati, divinizzati, dunque inesistenti. Quello che
deriva dall'attività speculativa dei sedevacantisti, è quindi una attenzione
maniacale ai minimi errori del Papa e del Magistero, perchè trovare un errore
diventa (nel loro razionalismo tomista-kantiano) il busillis che invalida la
papità a monte. E' tutta una realtà che si regge su busillis e cavilli. Sono
però piuttosto meticolosi, e anche precisi e per questa ragione sono in genere
interessanti.
Di solito i
sedevacantisti sono molto polemici con i "confratelli" Lefebvriani.
Detto un po' alla casereccia, anche se entrambi si battono perchè ritorni in uso per tutta la Chiesa il Messale
Tridentino, i sedevacantisti polemizzano con i lefevbriani perchè a dir di loro
han abbandonato la purezza liturgica. I cosiddetti sedevacantisti o più
propriamente quei sacerdoti che seguono la Tesi del Cassiciacum,
adottano l'ultima edizione del Missale Romano propriamente integro cioè quello
di San Pio V che San Pio X riformò e Pio XII editò (1952) con delle riforme
legittime omogenee con il passato, che non incisero né sulla forma ne sulla
sostanza. La
Fraternità dopo non poche burrasche interne adottò per
compromesso l'edizione del 1962, già fortemente manomessa specie nella
Settimana Santa, anche se formalmente è sempre più o meno il Messale
Tridentino.
Ovviamente
occorre distinguere il fine per cui queste critiche vengono mosse, ossia
l'obiettivo dell'articolista. Se l'obiettivo prossimo è evidenziare (per
ripicca assai ridicola) le contraddizioni e gli errori del gruppo rivale (la SPX),
l'obiettivo remoto è quello comunque di dimostrare che la Sede è Vacante,
mediante la constatazione di errori nel Magistero. Il teorema è che il Papa non
può fare alcun errore, se dunque si trova anche un solo errore, si ha la
dimostrazione matematica (kantiana all'amatriciana) che il Papa in realtà,
poichè sbaglia, non è Papa. Se si ignora questa scemenza, allora i testi dei
sedevacantisti diventano ottime fonti di consultazione (Ricossa e Cekada sono
infatti due uomini di grande spessore culturale e anche speculativo).
Logicamente nè
i sedevacantisti nè la fraternità hanno capito in cosa consiste realmente la
crisi della Chiesa. Nè tanto meno i tradizionalisti o meglio i conservatori alla
messainlatino.it.
I
sedevacantisti negano che possa esservi una crisi, e misconoscono il Papa, pur
di non ammettere che esso è il latore della crisi. La crisi da
"sedevacante" non è una vera crisi, giacchè è come se una classe
facesse casino al cambio dell'ora, mentre non c'è nessun professore che guarda.
Per loro semplicemente la "crisi" è l'interregno, che non essendo
governato, appare caotico e sregolato, ma considerando che la normalità è avere
la successione dei papi, e che i papi sono perfetti e bravissimi, non c'era
crisi con l'ultimo Papa valido, e non ci sarà con il prossimo, che ripristinerà
tutte le cose.
I Lefebvriani
hanno la posizione che nella pratica è la più corretta, perchè seguono la Tradizione e rifiutano le novità incompatibili con la Tradizione. Nella teoria
però è la più folle, perchè per loro il Papa è comunque Papa, e come Papa è
sempre quell'"infallibile" che non deve (dovrebbe) sbagliare mai.
Sono cattolici come cattolici erano 60 anni fa, solo che la Chiesa non è più quella di
una volta però sempre in "questa" Chiesa si riconoscono (si vogliono
riconoscere) quindi, in un certo senso, secondo la teoria (la loro stessa
teoria) sono talmente romani-ortodossi ma che sembrano "gallicani", giacchè rispettano formalmente il Papa disobbedendogli
praticamente e scegliendo cosa seguire e cosa no del suo proprio Magistero (che per un cattolico autentico dovrebbe essere compreso e seguito senza alcuna contestazione). Da
questo punto di vista sono criticabilissimi, tanto dai modernisti che dai
sedevacantisti, per lo stesso motivo. Oggi (a meno di un attesta e auspicata
regolamentazione, che evidenzierebbe, non solo una crisi più che evidente, ma un radicale cambio di rotta di un Papato
conciliare fuori dai binari cattolici-tradizionali) in questo momento storico non viene
alcuna giustificazione razionale dalla FSSPX sul come conciliare un gallicanesimo-romano-ortodosso
con il cattolicesimo officiale, su come obbedire al Papa disobbedendogli. Lo dicono, come
slogan, ma alla fine non c'è altra speculazione oltre alla affermazione dello
slogan (e alla gente che li segue, in genere basta e avanza).
I modernisti
(in cui si ricomprendono anche i tradizionalisti motupropriati) non ammettono
che vi sia crisi, poi a seconda del grado di progressismo ammettono
l'evoluzione della Chiesa come un fatto positivo, oppure sostengono che essa è
solo apparente, ma in ermeneutica di continuità.
La realtà di
oggi è che la Chiesa è (agli occhi umani che conoscono il suo passato sembra proprio) finita, l'attuale non è più quella di prima, la
religione cattolica attuale manca di coerenza interna con il suo passato, ed è
da considerarsi tranquillamente una religione "diversa". Il Papa è Papa, ma non
avendo altra infallibilità che quella legata alla Rivelazione, ed essendo
padrone delle proprie azioni e capace di resistere alla grazia, può
tranquillamente sbagliare. Non dovrebbe, perché il suo compito è quello di
stare nel binario della Tradizione e farci stare anche gli altri. In passato lo hanno
sempre fatto, essendo l'unica cosa che dovevano fare. Come un professore che
corregge i compiti, non è infallibile se non in quanto la correttezza in sè
della materia lo è. Se si fa portavoce ed espressione della fedeltà alla
correttezza, sarà infallibile, altrimenti no. Generalmente i professori
correggono sempre gli stessi errori e confermano sempre le stesse cose giuste,
perchè si riferiscono sempre ad un unico optimum di correttezza formale. Capita
comunque anche lo svarione, ma non per questo un errore del correttore, fa
cambiare la materia. Questo appare palese nell'esempio, ma per i cattolici non
è palese nella loro religione. Per loro il professore che corregge in
"5" il 2+2, fa veramente cambiare la realtà, rendendo vera la nuova
definizione. E' il magistero Papale. Come dire: se il professore ha la penna
rossa, scrive sul foglio protocollo, con l'intenzione di correggere, e volendo
rendere effettiva e valida la correzione, allora si cambia la stessa
matematica, poichè rispettate le condizioni, allora la sua attività definitoria
diventa verità. Costruisce verità.
Permettetemi
l'indugiare sulla polemica, certi cattolici lo dicono del Papa, giacchè
guardano solo se sono rispettate le "condizioni" previste dal CVI per
l'infallibilità. Con quelle quattro "regolette", sanno che Dio sta guidando il Papa,
sanno cosa fa Dio, per 4 regoline: E' stupendo a che livelli possa arrivare la
spocchia e la presunzione di questi finti devoti che hanno distrutto la
religione con il razionalismo. Loro sanno cosa fa Dio con 4 regole se
solo due si ottemperano, sanno che Dio non c'è. Se ci sono tutte, allora sanno
che Dio c'è. Lo dice la LEGGE!
Credo che abbiano mutuato questa visione razionalista-giuridicista dall'uso
scriteriato del diritto romano.
I romani avevano il processo formulare. Delle tabelle che rappresentavano delle fattispecie pratiche e fisse, con nomi convenzionali da cambiare usando i nomi reali. Se Tizio è nella condizione X e Caio rispetta la condizione Y, allora si verificherà automaticamente sempre e soltanto l'effetto giuridico Z. Per cui il giudizio, era più cognitivo che altro. Bisognava verificare la sussistenza delle condizioni: il giudizio era automatico, dato dalla formula. Ma i romani avevano una concezione del diritto che era comunque anche misterica, oltre che razionale. Era una forma di religiosità-magica. La visione sacrale ce l'avevano, il raziocinio era applicato per far prima.
Usare solo criteri di riduzionismo becero e razionalista, equivale a smantellare tutta la morale, le azioni umane, ivi comprese quelle del Papa, di tutta la loro dimensione spirituale e personale. Significa arrivare a kantizzare il tomismo nella maniera più estrema. Se il Papa parla come Pastore universale, definendo, a tutta la Chiesa, una questione su fede e/o morale, allora è INFALLIBILE. E' lo stesso ragionamento, uguale, uguale, uguale. Ma qui non è in ballo la servitù d'acquedotto. Qui è in ballo la PERSONA, non una fattispecie materiale. Per cui, alle 4 regolette, si aggiungono anche il rispetto dell'intelligenza e della volontà. Forse, potremmo intendere che sono implicite nel concetto di "definire". Giacchè definire non è un atto creativo, ma delimitativo di una verità preesistente. Per cui si comprende come la verità non è creata dal Papa, ma il Papa vi si adegua, se definisce. Allora se non vuole adeguarsi, potremmo dire che non vuole "definire". Ma come lo spiegheremo quando dirà novità astruse usando il verbo "definisco"?
I romani avevano il processo formulare. Delle tabelle che rappresentavano delle fattispecie pratiche e fisse, con nomi convenzionali da cambiare usando i nomi reali. Se Tizio è nella condizione X e Caio rispetta la condizione Y, allora si verificherà automaticamente sempre e soltanto l'effetto giuridico Z. Per cui il giudizio, era più cognitivo che altro. Bisognava verificare la sussistenza delle condizioni: il giudizio era automatico, dato dalla formula. Ma i romani avevano una concezione del diritto che era comunque anche misterica, oltre che razionale. Era una forma di religiosità-magica. La visione sacrale ce l'avevano, il raziocinio era applicato per far prima.
Usare solo criteri di riduzionismo becero e razionalista, equivale a smantellare tutta la morale, le azioni umane, ivi comprese quelle del Papa, di tutta la loro dimensione spirituale e personale. Significa arrivare a kantizzare il tomismo nella maniera più estrema. Se il Papa parla come Pastore universale, definendo, a tutta la Chiesa, una questione su fede e/o morale, allora è INFALLIBILE. E' lo stesso ragionamento, uguale, uguale, uguale. Ma qui non è in ballo la servitù d'acquedotto. Qui è in ballo la PERSONA, non una fattispecie materiale. Per cui, alle 4 regolette, si aggiungono anche il rispetto dell'intelligenza e della volontà. Forse, potremmo intendere che sono implicite nel concetto di "definire". Giacchè definire non è un atto creativo, ma delimitativo di una verità preesistente. Per cui si comprende come la verità non è creata dal Papa, ma il Papa vi si adegua, se definisce. Allora se non vuole adeguarsi, potremmo dire che non vuole "definire". Ma come lo spiegheremo quando dirà novità astruse usando il verbo "definisco"?
Bisogna
abituarsi a evitare il ricorso alle sole condizioni, ma ragionare sempre tenendo conto del fatto che
l'atto è anche un atto aperto alla sua spirituale personalità. Quindi più
complesso, e tutto sommato indecifrabile con criteri oggettivi. Se però la
verità è preesistente, ed è legata alla rivelazione, essendo la Tradizione e la Scrittura le DUE FONTI della Rivelazione (il Magistero NON E' UNA FONTE, ma è
il veicolo della Tradizione, quindi è subordinato ad essa), esse saranno sempre
il tornasole della bontà del magistero. Come si può sgamare il professore che
corregge sbagliato, così si può sgamare il Papa che insegna sbagliato. Ma solo
se uno ha un corretto ordine di idee sul Magistero, la Rivelazione,
l'Infallibilità, il Primato. Detto questo se uno dice "disobbedire al Papa
che ha sempre ragione è peccato", allora è uno po' sciocco. Se poi,
oltre a dirlo, disobbedisce anche, è del tutto sciocco.
La crisi è
quindi data dalla guida "cattiva" della Chiesa, non dalla non guida, o dall'incomprensione degli
altri. La guida cattiva produce però (ha prodotto) una realtà ulteriore alla Chiesa di sempre e alla religione di sempre. La guida cattiva che si sa essere
tale, si blocca nei fedeli tramite il ricorso alla Tradizione, che è anticorpo
per le novità sbagliate. La disobbedienza essendo l'obbedienza subordinata alla
verità, non è quindi reale. Anzi, è necessaria. La guida cattiva invece si
risolve solo mediante il subentrare di una guida buona. Questo però
considerando il cambio di religione avvenuto, il cambio di mentalità di tutti,
il cambio di opinione comune riguardo a cose che vengono sempre più date per
scontato (diritti della donna? ebrei? libertà di coscienza? libertà di religione? libertà politica? Sacra Scrittura demitizzabile? equivalenza delle religioni? collegilismo? ecc.), il cambio
dell'insegnamento nelle Università e nei seminari con il conseguente cambio
generazionale. I nuovi cattolici sono formati alla nuova religione, la Tradizione sembra irrimediabilmente interrotta. In queste condizioni è possibile realisticamente
che vada su una guida sana? guardando oggi il collegio cardinalizio, se non fossi radicato fermamente nella Fede e nella Speranza cristiana, io non ci
crederei nemmeno più.
Ps. Al termine dello studio del rev. do don Antony Cekada c'è una mia Nota a postfazione, riguardante la Santa Messa.
***
***
IL NOVUS ORDO È STATO IMPOSTO ILLEGALMENTE DA PAOLO VI ?
La Fraternità San Pio X e una leggenda popolare tra i tradizionalisti.
La maggior parte dei cattolici che abbandonano la Nuova Messa lo fanno perché la trovano cattiva, irrispettosa o non-cattolica.
Istintivamente, tuttavia, il cattolico sa che la Chiesa di Gesù Cristo non può darci qualcosa di dannoso, perché in tal caso la Chiesa ci condurrebbe all’inferno piuttosto che in cielo.
Infatti i teologi cattolici insegnano che le leggi universali che riguardano la disciplina della Chiesa, a cui appartengono le leggi che regolano la sacra liturgia, sono infallibili. Ecco una spiegazione classica del teologo Hermann: “La Chiesa è infallibile nella sua disciplina universale. Con l’espressione disciplina universale si intendono le leggi e gli usi che appartengono all’ordine esterno di tutta la Chiesa. Si tratta qui di tutto ciò che concerne il culto esterno, come la liturgia e le rubriche, o la amministrazione dei sacramenti...
Se [la Chiesa] fosse capace di consigliare, ordinare o tollerare nella sua disciplina qualcosa contro la fede e la morale, o qualcosa che possa nuocere alla Chiesa stessa o ai fedeli, essa si allontanerebbe dalla sua missione divina, il che è impossibile”. (1)
Il cattolico si trova quindi, prima o poi, di fronte ad un dilemma: la Nuova Messa è cattiva, ma si presume che coloro che ci hanno ordinato di assistervi (Paolo VI e i suoi successori), fossero investiti dell’autorità stessa di Gesù Cristo. Che fare dunque? Accettare un male per obbedienza all’autorità, o rifiutare l’autorità a causa del male che ci ordina di fare? Scegliere il sacrilegio, o scegliere lo scisma?
Come può un cattolico risolvere questo apparente dilemma, cioè che l’autorità della Chiesa possa comandare di fare il male?
Nel corso di questi anni soltanto due spiegazioni, in sostanza, sono state proposte:
1. Paolo VI, che promulgò la Nuova Messa, perse l’autorità papale.
Lo si prova in questo modo: se riconosciamo che la Nuova Messa è cattiva, o nociva alle anime, o che distrugge la fede, allora riconosciamo implicitamente un’altra cosa: che Paolo VI, che promulgò (impose) quel rito cattivo nel 1969, quando lo fece non poteva essere investito della vera autorità nella Chiesa. Egli aveva in un modo o nell’altro perso l’autorità papale, se mai l’aveva posseduta prima.
Come può essere successo? Secondo l’insegnamento di almeno due papi (Innocenzo III e Paolo IV) e di quasi tutti i canonisti e teologi cattolici, la perdita della fede causa automaticamente la perdita dell’autorità pontificia.
Secondo questa tesi il carattere cattivo della Nuova Messa è come una freccia luminosa e gigantesca puntata verso i papi posteriori al Vaticano II, e sulla quale lampeggerebbe il seguente Messaggio: “Nessuna autorità papale. Hanno abbandonato la fede cattolica”[*].
2. Paolo VI possedeva l’autorità papale ma non promulgò la Nuova Messa legalmente.
Secondo questa posizione, Paolo VI non rispettò esattamente le procedure legali quando promulgò la Nuova Messa. Di conseguenza, la Nuova Messa, non è in realtà una legge universale, e noi quindi non siamo tenuti ad obbedire alla legislazione che presumibilmente l’ha imposta; così l’infallibilità della Chiesa è “salva”. Questa teoria era molto diffusa nel movimento tradizionalista fin dai suoi inizi, negli anni sessanta.
La tesi, bisogna riconoscerlo, è di quelle che cercano di “salvare capra e cavoli”. Essa permette di “riconoscere” il Papa ma d’ignorare le sue leggi, di denunciare la sua Nuova Messa e di conservare quella vecchia. Dà alle anime semplici, che temono lo scisma, la sicurezza di essere ancora, malgrado le apparenze, “fedeli al Santo Padre”.
Ho esaminato la prima posizione nel mio studio Tradizionalisti, l’Infallibilità e il Papa. (2) Qui tratterò della seconda posizione, e metterò in evidenza le grosse difficoltà che essa presenta rispetto alla logica, all’autorità della Chiesa e al diritto canonico.
La Fraternità sacerdotale San Pio X e la teoria della “promulgazione illegale”
Molti cattolici aderiscono alla posizione secondo la quale la Nuova Messa fu promulgata illegalmente, ma il maggior numero dei sostenitori si trova fra i membri e i simpatizzanti della Fraternità sacerdotale San Pio X (FSSPX) di monsignor Marcel Lefebvre.
Questa teoria corrisponde esattamente a quello che si può definire come il concetto giansenista-gallicano della Fraternità circa il papato: il Papa viene “riconosciuto” ma le sue leggi e i suoi insegnamenti devono essere “passati al setaccio”. Così voi conservate i vantaggi sentimentali di avere teoricamente un Papa, ma nessuno degli inconvenienti pratici di dovergli obbedire.
(Durante tutti questi anni, il fascino emotivo che questa posizione ha esercitato sui laici, ha costituito per la FSSPX un’inesauribile miniera d’oro. Questa vecchia gallina gallicana depone davvero uova d’oro).
Gli argomenti abituali
Per spiegare la seconda posizione, ci riportiamo quindi a due articoli dell’ex superiore del distretto della Fraternità per gli Stati Uniti, il reverendo François Laisney.
Il reverendo Laisnay definisce la Nuova Messa “cattiva in se stessa” (3), e pericolosa per la fede cattolica (4). Egli riconosce, in linea di massima, il principio sul quale si fonda la prima posizione, cioè che la Chiesa non può promulgare una legge universale che sia cattiva o dannosa per le anime.
Ma, afferma, “nella promulgazione della Nuova Messa non era impegnata in pieno l’autorità papale” (5) e “Papa Paolo VI non obbligò ad adottare la [Nuova] Messa, ma la permise soltanto... Non vi è nessun ordine, obbligo o precetto chiaro che l’impone ad ogni sacerdote!” (6).
Egli sostiene i seguenti argomenti, che sono tipici di quelli che sostengono questa posizione, contro la promulgazione illegale della Nuova Messa da parte di Paolo VI:
“Il Novus Ordo Missæ non è stato promulgato dalla Sacra Congregazione dei Riti secondo la procedura canonica corretta”.
“Negli Acta Apostolicæ Sedis (l’organo ufficiale della Chiesa Cattolica che annuncia le nuove leggi per tutta la Chiesa) non appare nessun decreto della Sacra Congregazione dei Riti che imponga la Nuova Messa”.
Nelle edizioni successive della Nuova Messa, [quel decreto del 1969] è sostituito da un secondo decreto (26 Marzo 1970) che si limita a permettere l’uso della Nuova Messa. Questo secondo decreto, che permette soltanto il suo uso, senza renderlo obbligatorio, figura negli Acta Apostolicæ Sedis.
Una Nota del 1971 della Congregazione per il Culto Divino concernente la Nuova Messa, dice che “non si può trovare in questo testo nessuna proibizione esplicita per nessun sacerdote di celebrare la Messa tradizionale, né alcun obbligo di celebrare esclusivamente la Nuova Messa”.
Un’altra Nota del 1974, dice il reverendo Laisney, impone sì un obbligo, ma non appare negli Acta, e non dice che Paolo VI l’abbia approvata, per cui non ha forza cogente.
- La caratteristica di queste riforme è la loro “confusa legislazione”. “È Proprio in questo che si vede l’assistenza dello Spirito Santo nella Chiesa, che non ha permesso che i modernisti promulgassero le loro riforme correttamente, con una perfetta forza legale”.
Don Laisnay presenta quindi la sua conclusione: “Il Novus Ordo Missæ è stato promulgato da papa Paolo VI con un tale numero di irregolarità - in particolare l’assenza totale dei termini giuridici corretti necessari per obbligare tutti i sacerdoti e i fedeli - che non si può affermare che esso sia coperto dall’infallibilità di cui gode il Papa nelle leggi universali” (7).
Per valutare le affermazioni di don Laisney, noi daremo per scontato, come fa lui, il fatto che Paolo VI fosse realmente un vero Papa e che, come tale, fosse investito della piena potestà legislativa sulla Chiesa. Questo ci permetterà di costringere il Reverendo a tener conto dei criteri oggettivi, tratti dal diritto canonico, che ne conseguono a partire da questa tesi.
Dimostreremo allora, esaminando i principi generali del diritto canonico e i testi legislativi specifici alla questione, che gli argomenti e le conclusioni del reverendo Laisney sono falsi su ogni punto.
Che cosa è la “Promulgazione”?
“Promulgare” una legge significa nient’altro che annunciarla pubblicamente.
L’essenza della promulgazione è di far conoscere pubblicamente una legge alla comunità, o da parte dello stesso legislatore o sotto la sua autorità, cosicché la volontà del legislatore d’imporre un’obbligo venga ad essere conosciuta dai soggetti (8).
Il Codice di Diritto Canonico dice semplicemente: “Le leggi emanate dalla Santa Sede sono promulgate a partire dalla loro pubblicazione nella raccolta ufficiale degli Acta Apostolicæ Sedis, salvo che in casi particolari sia prescritto un altro modo di promulgazione” (9).
Questo è tutto quello che il Codice prescrive, e che è sufficiente per far conoscere la volontà del legislatore, cioè il Papa.
A meno che un’altra disposizione sia stata espressa in una legge particolare, una legge diventa effettiva (e obbligatoria) tre mesi dopo la data di pubblicazione ufficiale negli Acta (10). Il periodo intermedio prima dell’entrata in vigore si chiama vacatio legis.
Un Decreto che non esiste?
La Nuova Messa (Novus Ordo Missæ) è apparsa poco a poco.
Il Vaticano per prima cosa pubblicò il nuovo Ordinario in un libretto del 1969, insieme all’Istruzione Generale sul Messale Romano (una prefazione che precisa la dottrina e le rubriche) (11).
All’inizio di questo libretto appare la lunga Costituzione Apostolica sulla Nuova Messa, Missale Romanum, di Paolo VI, e il 6 aprile 1969 il decreto Ordine Missæ della Sacra Congregazione dei Riti (Consilium). Questo decreto, a firma del Cardinale Benno Gut, afferma che Paolo VI approvò l’allegato Ordinario della Messa, e che la Congregazione l’aveva promulgato per speciale mandato del Papa. Esso stabilisce il 30 novembre 1969 come data di entrata in vigore della legge.
Tuttavia, per delle ragioni sconosciute, questo decreto non venne mai pubblicato negli Acta. E così don Laisney e moltissimi altri sostengono che questa omissione significa che la Nuova Messa non è stata mai “debitamente promulgata” e quindi non obbliga nessuno.
Ma la tesi che si fonda su questa svista burocratica è improponibile. Nel diritto canonico il punto chiave riguardo alla promulgazione di qualsiasi legge sta nella volontà del legislatore. In questo caso, manifestò Paolo VI la volontà di imporre ai suoi soggetti un obbligo (cioè la Nuova Messa)? E lo fece, per di più, negli Acta?
La Costituzione Apostolica di Paolo VI
È facile rispondere a questa domanda. Negli Acta Apostolicæ Sedis del 30 aprile 1969 troviamo la Costituzione Apostolica Missale Romanum, che porta la firma di Paolo VI. È intitolata: “Costituzione Apostolica. Per la quale il Messale Romano, restaurato con decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II, viene promulgato. Paolo, Vescovo, Servo dei Servi di Dio, a Perpetua Memoria” (12).
La legge rispetta, ovviamente, la semplice norma canonica per la promulgazione. Il Legislatore Supremo non ha bisogno del Decreto di un Cardinale perché la sua legge abbia effetto. La Nuova Messa è promulgata, e la legge è obbligatoria.
Inoltre nel testo della Costituzione, Paolo VI mostra ben chiaramente che la sua volontà è di imporre l’obbligo di una legge ai soggetti. Da notare in particolare il suo linguaggio nei passaggi seguenti.
L’Istruzione Generale che precede il Nuovo Ordinario della Messa “impone nuove norme per celebrare il sacrificio Eucaristico” (13).
“Abbiamo decretato che tre nuovi Canoni siano aggiunti a questa Preghiera [il Canone Romano]” (14).
“Abbiamo ordinato che le parole di Nostro Signore siano un’unica e stessa formula in ciascun Canone” (15).
“E così è Nostra volontà che queste parole siano dette in questo modo in ogni Preghiera Eucaristica” (16).
“Tutte le cose che abbiamo prescritte con questa Nostra Costituzione, cominceranno ad avere effetto dal 30 novembre di quest’anno” (17).
“È nostra volontà che queste leggi e prescrizioni siano ora e in futuro stabili ed effettive” (18).
I termini canonici latini che un Papa impiega abitualmente per fare una legge, sono tutti presenti qui: normæ, præscripta, statuta, proponimus, statuimus, jussimus, volumus, præscripsimus, ecc.
Gli stessi termini usati nella Quo Primum
Questo linguaggio è importante per un’altra ragione: alcune di quelle parole appaiono anche nella Quo primum, la Bolla del 1570 con cui il Papa san Pio V promulgava il Messale Tridentino.
Il rev. Laisney, come molti altri, pretende che la legge di Paolo VI non impose un obbligo; piuttosto Paolo VI “presentò” o “permise” semplicemente la Nuova Messa (19).
Questo è falso. Sia Quo Primum che Paolo VI usano gli stessi termini “legislativi” nei passaggi chiave: norma, statuimus e volumus.
Il canonista benedettino Oppenheim dice che questi sono termini “precettivi” che “indicano chiaramente un obbligo stretto” (20).
Se questo tipo di parole ha reso obbligatoria la Quo Primum di Pio V, produce lo stesso effetto per il Missale Romanum di Paolo VI.
“È nostra volontà...”
Abbiamo citato più sopra il seguente passaggio com prova che Paolo VI intendeva promulgare una legge che obbligasse i suoi sudditi:
“È nostra volontà [volumus] che queste leggi e prescrizioni siano, ora e in futuro, stabili ed effettive” (21).
Le prime traduzioni in inglese rendevano il verbo latino volumus con “Noi desideriamo che”. Alcuni sacerdoti e scrittori ne arguirono che Paolo VI avesse solo un vago “desiderio” che i cattolici usassero la Nuova Messa, e che egli avesse tuttalpiù espresso un pio augurio.
Ma nella Quo Primum S. Pio V usa gli stessi identici verbi per imporre la Messa tridentina:
“È nostra volontà [volumus] poi - e lo decretiamo con la stessa autorità - che dopo la pubblicazione di questa nostra Costituzione e del Messale, i sacerdoti della Curia romana... siano obbligati a cantare o a leggere la Messa secondo questo Messale” (22).
In entrambi i casi il verbo volumus esprime l’essenza della legislazione della Chiesa: la volontà del legislatore di imporre un obbligo ai suoi sudditi (23).
Paolo VI abroga Quo Primum
Il rev. Laisney tira fuori un’altra frottola (24): si tratta della favola secondo la quale Paolo VI non avrebbe abrogato (revocato) la bolla Quo Primum di san Pio V (25).
I sostenitori di questa posizione citano talvolta un passaggio del Codice che stabilisce che “una legge più recente, emanata dall’autorità competente, abroga la legge precedente se l’abrogazione è espressa esplicitamente” (26).
L’argomento è dunque che Paolo VI non menzionò Quo Primum per nome, quindi non l’abrogò esplicitamente. Quo primum, di conseguenza, non ha mai perso la sua forza di legge, e noi siamo ancora liberi di celebrare la vecchia Messa (27).
Ma i fautori di questa idea scambiano per realtà i loro desideri. Nella norma citata sopra, esplicitamente non significa solo “nominatamente” (28). Un legislatore può revocare “esplicitamente” una legge in un altro modo - ed è quello che succede qui, quando Paolo VI, dopo aver dichiarato il suo volumus alla Nuova Messa, aggiunse la clausola seguente: “Nonostante, nella misura necessaria, le Costituzioni Apostoliche e le ordinanze dei Nostri Predecessori, e le altre prescrizioni, anche quelle degne di speciale menzione o emendamento” (29).
Questa clausola abroga esplicitamente Quo Primum.
Prima di tutto la bolla Quo Primum rientra fra gli atti pontifici più solenni, come la Costituzione Papale o Apostolica (30). E nel passaggio tratto dalla Costituzione Apostolica di Paolo VI, egli revoca precisamente le “Costituzioni Apostoliche” dei suoi predecessori.
In secondo luogo, per abrogare esplicitamente una legge, un Papa non ha bisogno di citarla nominatamente. Secondo il canonista Cicognani, c’è abrogazione esplicita anche se il legislatore inserisce “delle clausole abrogative o derogative, come è abituale nei decreti, rescritti, e altri atti pontifici: nonostante qualsiasi cosa in contrario, nonostante qualsiasi cosa in contrario di qualunque genere, per quanto degne di una menzione speciale” (31).
Paolo VI, in altre parole, usò l’esatto tipo di linguaggio richiesto per abrogare esplicitamente una legge precedente.
E facendo questo, Paolo VI usò ancora alcune delle stesse frasi usate da S. Pio V nella Quo Primum per revocare le leggi liturgiche dei suoi precedessori: “Nonostante le precedenti costituzioni Apostoliche e ordinanze… e qualunque legge e consuetudine contraria vi possa essere” (32).
Ancora una volta, se questo linguaggio valeva nel 1570, vale anche nel 1969 (33).
Alla luce di quanto sopra, non è possibile continuare a sostenere la leggenda secondo la quale la legge di Paolo VI non abrogò esplicitamente Quo primum.
Quanto alle altre opinioni errate che circolano sulla Quo Primum, saranno trattate in un prossimo articolo.
Conclusione evidente
Paolo VI pone qui una legge. Tutto lo dimostra in modo chiaro: il linguaggio legislativo tecnico, l’enumerazione di leggi specifiche, il fissare una data di entrata in vigore, il linguaggio che revoca le Costituzioni Apostoliche dei suoi predecessori, e l’espressione esplicita del legislatore indicante la sua volontà di imporre queste leggi.
Tutto questo don Laisney non lo capisce. “Non c’è, egli dice, un ordine chiaro, un comando, o un precetto che lo renda obbligatorio per tutti i sacerdoti”, e aggiunge che Paolo VI “non dice” quello che un sacerdote deve fare alla data di entrata in vigore della legge (34).
Ebbene, se il linguaggio della Costituzione di Paolo VI non è abbastanza “chiaro”, riferiamoci all’ulteriore legislazione pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis.
Ancora una volta Paolo VI manifesta chiaramente la sua volontà, non solo di imporre la sua Nuova Messa, ma anche di proibire specificatamente il vecchio rito.
L’Istruzione dell’ottobre 1969
L’Istruzione Constitutione Apostolica (20 ottobre 1969) porta il titolo: “Sull’applicazione progressiva della Costituzione Apostolica Missale Romanum” (35).
Lo scopo generale del documento era di risolvere certi problemi pratici: le conferenze episcopali non erano in grado di completare la traduzione in vernacolare del nuovo rito in tempo per il 30 novembre, data che Paolo VI aveva stabilito per l’entrata in vigore della Nuova Messa.
L’Istruzione comincia con enumerare le tre parti del nuovo Messale già approvato da Paolo VI: l’Ordo Missæ, l’Istruzione Generale e il nuovo Lezionario, e poi stabilisce: “I documenti precedenti decretarono che, a partire dal 30 novembre di quest’anno, Prima Domenica d’Avvento, siano adottati il nuovo rito e il nuovo testo” (36).
Per far fronte ai problemi pratici che ne derivavano, la Congregazione per il Culto Divino, “con l’approvazione del Sommo Pontefice, stabilisce le regole seguenti” (37).
Fra le diverse norme vi sono le seguenti: - “Ciascuna conferenza episcopale stabilirà anche il giorno a partire dal quale (eccetto nei casi citati ai paragrafi 19-20) diventerà obbligatorio adottare il [Nuovo] Ordinario della Messa. Tale data, tuttavia, non dovrà essere procrastinata oltre il 28 novembre 1971” (38).
“Ciascuna conferenza episcopale stabilirà il giorno a partire dal quale sarà obbligatorio l’uso dei testi del nuovo Messale Romano (eccetto i casi indicati ai paragrafi 19-20)” (39).
Le eccezioni valevano per i sacerdoti anziani che celebravano delle Messe in privato e che avevano incontrato delle difficoltà con i testi o i riti nuovi. Col permesso dell’Ordinario avrebbero potuto continuare a usare il vecchio rito.
L’Istruzione terminava con la seguente dichiarazione:
“Il 18 ottobre 1969 il Sommo Pontefice, Papa Paolo VI, approvò questa Istruzione e ordinò che diventasse legge pubblica, affinché potesse essere osservata fedelmente da tutti quelli a cui si riferisce” (40).
Troviamo qui ancora una volta i termini “precettivi” della Chiesa che legifera; questi termini, come dice Oppenheim, indicano chiaramente un’obbligazione stretta di usare, nel nostro caso, il Nuovo Ordinario della Messa non più tardi del 28 novembre 1971.
Il Decreto del marzo 1970
Il Decreto Celebrationis Eucharistiæ (26 marzo 1970) è intitolato: “La nuova edizione del Messale Romano è promulgata e dichiarata editio typica” (41).
Questo Decreto accompagnava la pubblicazione del nuovo Messale di Paolo VI, che conteneva il Nuovo Ordinario della Messa approvato precedentemente, un’Istruzione Generale riveduta e tutte le nuove Orazioni per l’intero anno liturgico.
Anche il decreto usa il linguaggio precettivo della legislazione pontificia: “Questa Sacra Congregazione per il Culto Divino, per mandato dello stesso Sommo Pontefice, promulga questa nuova edizione del Messale Romano, fatta secondo i decreti del Vaticano II, e la dichiara edizione tipica” (42).
C’è bisogno di ribadire ciò che è evidente? Il Nuovo Messale è la legge, per ordine di Paolo VI.
La Notifica del giugno 1971
La Notifica Instructione de Constitutione (14 giugno 1971) è intitolata “Sull’uso e sull’inizio dell’obbligo del nuovo Messale Romano, [del Breviario], e del Calendario” (43).
Questa Notifica, come l’Istruzione dell’ottobre 1969, affronta alcune delle difficoltà pratiche che avevano ritardato l’attuazione della nuova legislazione liturgica.
“Avendo attentamente considerato queste cose, la sacra Congregazione per il Culto Divino, con l’approvazione del Sommo Pontefice, pone le seguenti regole sull’uso del Messale Romano” (44).
Essa ordina che in tutti i paesi “dal giorno in cui i testi tradotti saranno usati per le celebrazioni in lingua vernacolare, sarà permessa soltanto la forma riveduta della Messa e [del breviario], anche per coloro che continuano ad usare il Latino” (45).
Il senso piano del testo è che deve essere usato il nuovo rito, e che il rito tradizionale è proibito; il Papa lo vuole e tutti devono obbedire.
La Notifica dell’ottobre 1974
Infine c’è la Notifica Conferentia Episcopalium (28 ottobre 1974) (46).
Essa specifica ancora che quando una conferenza episcopale decreta che una traduzione del nuovo rito è obbligatoria, “la Messa, sia in Latino che in vernacolare, secondo la legge deve essere celebrata soltanto nel rito del Messale Romano promulgato il 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa Paolo VI” (47). L’accento sulla parola “soltanto” (tantummodo) si trova nell’originale.
Gli Ordinari devono assicurarsi che tutti i sacerdoti e i fedeli di Rito Romano “nonostante il pretesto di una qualche consuetudine, anche di lunga data, accettino rigorosamente l’Ordinario della Messa nel Messale Romano” (48).
Ancora una volta è evidente che la Nuova Messa è stata debitamente promulgata ed è obbligatoria: non ci sono eccezioni.
Il rev. Laisney ammette che questa Notificazione impone l’obbligo di celebrare la Nuova Messa. Tuttavia nega che abbia effetto legale perché non venne pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis e perché non specifica che fu ratificata dal Sommo Pontefice (49).
Don Laisney, ahimè, ha frainteso ancora un altro principio del Codice in materia di promulgazione.
In primo luogo, la Notifica non è una nuova legge. È quello che i canonisti definiscono una “interpretazione autorevole e dichiarativa” di una legge precedente. Essa, secondo il Codice, “indica semplicemente il significato delle parole della legge, già certe di per sé”. In tal caso “l’interpretazione non ha bisogno di essere promulgata, ed ha effetto retroattivo” (50). In altre parole, essa ha forza di legge anche senza la pubblicazione negli Acta.
In secondo luogo, anche se strettamente parlando, tale dichiarazione non avesse bisogno del consenso esplicito del Papa, Paolo VI approvò comunque il testo finale della notifica (51).
Nessuna consuetudine immemorabile
La Notifica affronta un aspetto secondario interessante: un certo numero di scrittori tradizionalisti che volevano ad ogni costo riconoscere l’autorità di Paolo VI, pretendevano tuttavia che “la consuetudine immemorabile” permetteva loro di conservare il vecchio rito e di rifiutare la Nuova Messa di Paolo VI.
A prima vista questa affermazione non ha senso. I sacerdoti celebravano la Messa tradizionale perchè un Papa aveva promulgato una legge scritta che ordinava di farlo. La consuetudine è semplicemente un uso, oppure una legge non scritta, che può essere o in accordo con la legge scritta, o contraria ad essa, o al di fuori di essa.
la Notifica, in ogni caso, afferma che la Nuova Messa è obbligatoria “nonostante il pretesto di una consuetudine qualunque, anche di lunga data”.
Secondo il Codice, “una legge non revoca le consuetudini centenarie o immemorabili, a meno che non ne faccia espressa menzione” (52).
Ma i canonisti dicono che una clausola “nonostante” (nonobstante), come quella che abbiamo vista, revoca veramente ed esplicitamente una consuetudine immmemorabile (53). Quindi, anche se la vecchia Messa costituisse una consuetudine immemorabile, la Notifica la revoca debitamente, liquidando in più la questione come un “pretesto”.
Ma questo ci porta semplicemente alla vera questione che si nasconde, in effetti, dietro la discussione sulla promulgazione “illegale” o meno del Novus Ordo da parte di Paolo VI.
Chi interpreta le leggi del Papa?
Per la FSSPX e per molti altri, ahimè, la risposta è “ognuno, tranne il Papa”.
Don Laisney ci informa, per esempio, che Paolo VI non impegnò nella sua Costituzione Apostolica “la medesima pienezza di potere” che impegnò Pio V nella sua. Paolo VI non menzionò la “natura di un obbligo”, i relativi “soggetti”, la sua “solennità” (54).
L’affermazione di Don Laisney non dà nessuna riferimento. Per cui siamo nell’impossibilità di trovare i canonisti che propongono questi criteri di distinzione, ai quali ogni cattolico, laico o chierico, possa far ricorso per decidere da solo se è tenuto ad osservare una Costituzione Apostolica firmata dal Sommo Pontefice della Chiesa Universale.
Vogliono farci credere che la miriade di giuristi esperti di diritto canonico della Curia Romana, incaricati di preparare i decreti del Papa, non sarebbero stati capaci di redigere un testo giuridico adeguato al facile compito di preparare un nuovo rito della Messa, obbligatorio. E ciò, addirittura, neppure dopo cinque tentativi: una CostituzioneApostolica e quattro (le ho contate!) dichiarazioni per l’attuazione della Costituzione.
Invece qualche polemista incompetente e il basso clero del mondo intero sono liberi di giudicare che il Supremo legislatore è giuridicamente incapace di promulgare le proprie leggi, e quindi di rifiutargli la propria sottomissione per decenni e decenni.
Dei protestanti del diritto Canonico?
L’approccio alle leggi pontificie di don Laisney e degli altri sostenitori di questa teoria, è infatti “un Protestantesimo del diritto canonico”: voi interpretate i passaggi scelti come fa comodo a voi, e che nessun Papa venga mai a dirvi come devono essere interpretati. E se non trovate la formula magica che secondo voi è “richiesta” per costringervi a obbedire, bene, tanto peggio per il Vicario di Cristo sulla terra. Questa è la mentalità delle sètte: Giansenisti, Gallicani, discepoli di Feeney. A parole dicono di riconoscere il Vicario di Cristo, ma nei fatti rifiutano di sottomettersi: è proprio la precisa e classica definizione dello scisma.
Il Papa o la Curia?
Al contrario, il Codice stabilisce in poche parole quale deve essere l’approccio del Cattolico all’interpretazione delle leggi pontificie:
“Le leggi sono autorevolmente interpretate dal legislatore e dal suo successore, e da coloro a cui il legislatore conferisce il potere di interpretare le leggi” (55).
A parte il Papa, chi possiede questo potere di interpretare le sue leggi con autorità? “Le sacre Congregazioni nelle materie che sono loro proprie,” dice il canonista Coronata. Le loro interpretazioni vengono pubblicate “a mo’ di legge” (56).
Nel caso della Nuova Messa, Paolo VI delegò il potere di interpretare la nuova legislazione liturgica alla Congregazione per il Culto Divino.
La Congregazione pubblicò tre documenti, un’Istruzione, un Decreto, e una Notificazione: essi stabiliscono chiaramente che la legge originale che promulga la Nuova Messa è obbligatoria.
Tali documenti sono classificati tra “le interpretazioni generali autentiche” della legge (57), e spesso sono genericamente indicate come “decreti generali”. La Congregazione promulgò inoltre questi tre documenti negli Acta Apostolicæ Sedis, come è richiesto dal Codice.
Uno di questi documenti, l’Istruzione dell’ottobre 1969, ci interessa qui particolarmente. Essa cita la Costituzione Apostolica di Paolo VI, l’Istruzione Generale del Messale Romano, il Nuovo Ordinario della Messa, il Decreto del 6 aprile 1969, e l’Ordinario per il nuovo Lezionario, e poi stabilisce: “I citati documenti decretano che dal 30 novembre di quest’anno, Prima Domenica di Avvento, siano usati il nuovo rito e il nuovo testo” (58).
Anche se la legge originale fosse stata in qualche modo difettosa o dubbia, questo passaggio (e quelli simili negli altri documenti) risolverebbe il problema: infatti corrisponde ai criteri del Codice per dare, ad una legge che in precedenza era dubbia, un’interpretazione autentica. Il rappresentante del legislatore, cioè la Congregazione per il Culto Divino, dice che la legge precedente “decreta... che siano usati il nuovo rito e il nuovo testo”.
Quindi, qualsiasi dubbio possiate aver avuto, è risolto. Questa interpretazione autentica, dice il Codice, “ha la medesima forza della legge stessa” (59).
Consideratevi perciò obbligati dalla legge, dal momento che i responsabili della sua interpretazione, ve lo hanno detto. Sottomettetevi quindi alla legge del Papa. È quanto dovrebbe fare un vero Cattolico, cioè uno per cui il Papa non è solo un ritratto da appendere al muro, o una frase vuota nel Te igitur!
Non è una Legge Universale?
Come abbiamo notato sopra, don Laisney credeva che le “deficienze legali”, che egli pretendeva di trovare riguardo al Novus Ordo, impedissero di porre la nuova legge sotto l’infallibilità delle leggi universali (60).
A questo argomento il rev. Peter Scott, successore di don Laisney come Superiore del Distretto degli Stati Uniti della FSSPX, aggiungeva un altro travisamento.
In un dibattito con lo scrittore inglese Michael Davies, il rev. Scott affermava: “Sarebbe un insulto grave e inammissibile per i Cattolici di rito orientale (molti dei quali sono tradizionalisti) se voi affermaste [come fa il signor Davies] che “il rito Romano... è equivalente... a quello della Chiesa universale”, semplicemente a causa della preponderanza numerica. Un decreto per il Rito Romano, anche promulgato correttamente, non vale per la Chiesa universale” (61).
Altri hanno fatto essenzialmente lo stesso ragionamento: la legislazione di Paolo VI sulla Nuova Messa non è veramente “universale”, perché non si applica ai Cattolici di Rito Orientale.
Il reverendo Scott, ahimé, ha confuso alcuni termini legali e abituali del diritto canonico.
La legge ecclesiastica è divisa effettivamente quanto al rito in occidentale e orientale, ma questo non ha niente a che fare con il problema che trattiamo.
Quando un canonista definisce “universale” una legge, non si riferisce alla sua applicazione ad entrambi i riti Latino e Orientale. Piuttosto si riferisce all’estensione della legge, cioè al territorio sul quale ha forza.
Perciò una legge particolare obbliga solo entro un certo determinato territorio. Una legge universale, invece, “obbliga in tutto il mondo cristiano” (62).
La legislazione che ha promulgato la Nuova Messa voleva, ovviamente, essere obbligatoria nel mondo intero.
Lo stesso principio vale per le varie Dichiarazioni, Direttive, Istruzioni, Notifiche, Risposte, ecc. della Sacra Congregazione dei Riti (Culto Divino).
Nessuno dubita, dice il canonista Oppenheim, che tutti questi decreti per la Chiesa Universale (conosciuti talvolta nel loro insieme come “decreti generali”... abbiano il carattere di vera legge (63). Infatti “i decreti generali che sono rivolti alla Chiesa universale (di Rito Romano) hanno la forza di legge universale” (64). In più, in base al Decreto della S. Congregazione dei Riti, essi hanno la stessa autorità che se fossero emanati direttamente dal Romano Pontefice (65).
È quindi impossibile affermare che la legislazione liturgica di Paolo VI non possa essere definita una legge disciplinare universale.
In breve
Dopo quanto abbiamo detto circa la legislazione di Paolo VI sulla Nuova Messa, vorremmo, per concludere, fare un riassunto di ciò che è stato detto, e poi insistere su di un punto in particolare (66).
Abbiamo esaminato l’affermazione, portata avanti dal rev. Laisney e da numerosissimi altri scrittori tradizionalisti, secondo la quale Paolo VI impose “illegalmente” il Novus Ordo, e abbiamo dimostrato i punti seguenti:
1)Il fine della promulgazione di una legge è di manifestare che il legislatore vuole imporre un obbligo ai soggetti.
2) Nella Costituzione Apostolica Missale Romanum, Paolo VI manifestò la volontà di imporre la Nuova Messa come un obbligo. Ciò risulta evidente da:
a) Almeno sei passaggi particolari.
b) Vocabolario legislativo tipico del diritto canonico.
c) Parallelismo con la Quo Primum.
d) Promulgazione negli Acta Apostolicæ Sedis.
3) La Costituzione Apostolica di Paolo VI abrogò (revocò) la Quo Primum usando una formula tipica utilizzata abitualmente a questo scopo.
4)La Congregazione per il Culto Divino (CCD) promulgò successivamente tre documenti (che sono infatti dei “decreti generali”... che attuano la Costituzione di Paolo VI.
Questi documenti:
a) Impongono la Nuova Messa come obbligatoria.
b) Proibiscono (salvo alcuni casi) la vecchia Messa.
c) Fanno uso del vocabolario legislativo tipico.
d) Dicono espressamente di avere l’approvazione di Paolo VI.
e) Furono pubblicati regolarmente negli Acta.
5) La CCD pubblicò anche una Notifica del 1974 che ripeteva che soltanto la Nuova Messa poteva essere celebrata e che la vecchia Messa era proibita. Respingeva come “un pretesto” la formula della “consuetudine immemorabile”. Questo documento era un’interpretazione dichiarativa della legge, e come tale non doveva essere promulgata negli Acta per avere forza di legge.
6)I documenti pubblicati dalla CCD erano “un’interpretazione autorevole della legge” che, secondo il Codice, avevano “la stessa forza della legge”, poiché erano pubblicati da una congregazione Romana “alla quale il legislatore aveva delegato il potere di interpretare le leggi”.
7)L’obiezione che rifiuta di considerare la legislazione di Paolo VI come disciplina universale, perché non obbliga i riti orientali, è basata sull'incomprensione del termine “universale”. Il termine non si riferisce al rito, ma all'estensione territoriale della legge.
Le conseguenze inevitabili
Per tutte le suddette ragioni, quindi, se voi insistete nel dire che Paolo VI era veramente Papa, in possesso del pieno potere legislativo come Vicario di Cristo, dovete anche accettarne la conseguenza inevitabile, che è l’esercizio dell’autorità pontificia:
1) La Nuova Messa fu promulgata legalmente.
2) La Nuova Messa è obbligatoria.
3) La Messa tradizionale fu vietata.
Se insistete ancora dicendo che la Nuova Messa è cattiva [**], la logica vuole che arriviate alla conclusione, che la fede e le promesse di Cristo vi vietano di trarre: la Chiesa di Cristo è venuta meno. Infatti il Successore di Pietro, che possiede l’autorità di Cristo, ha usato questa stessa autorità per distruggere la fede di Cristo, imponendo una Messa che è cattiva. Dunque, per voi la promessa di Cristo a Pietro e ai suoi successori è una menzogna e un inganno: le porte dell’Inferno hanno prevalso.
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TUTTO QUESTO CI RICONDUCE al punto di partenza del nostro studio: la Nuova Messa è cattiva [**], e il principio per cui la Chiesa non può fare qualcosa di male.
Paolo VI rispettò tutte le forme legali che ogni vera autorità pontificia impiega normalmente, per imporre le leggi disciplinari universali. Canonicamente, egli rispettò la procedura alla lettera.
Ma ciò che Paolo VI impose era cattivo, sacrilego, distruttore della fede. È per questo che noi, in quanto cattolici, la rifiutiamo.
Poiché sappiamo che l’autorità della Chiesa è incapace d’imporre delle leggi universali cattive, noi dobbiamo di conseguenza concludere che Paolo VI, che ha promulgato delle leggi cattive, non possedeva in realtà l’autorità pontificia.
Perchè, se è impossibile che la Chiesa stessa venga meno, è possibile invece - come insegnano i papi, i canonisti e i teologi - che un Papa, in quanto individuo, perda la fede e automaticamente perda l’incarico e l’autorità pontificia.
In una parola, una volta che noi riconosciamo che la Nuova Messa non è cattolica, riconosciamo anche che il suo promulgatore, Paolo VI, non era né un vero cattolico né un vero Papa [*].
Chi è l’autore
Il Rev. Anthony Cekada fu ordintato nel 1977 da Mons. Marcel Lefebvre, e celebra la Messa tradizionale. Ha scritto molti articoli sui problemi dottrinali, in opposizione alle nuove riforme del Concilio Vaticano II, tra i quali l’opuscolo: “Non si prega più come prima. Le preghiere della nuova Messa ed i problemi che pongono ai cattolici”, tradotto in italiano dal nostro centro librario e sempre diponibile presso la nostra redazione. Risiede a Cincinnati (Ohio), negli Stati Uniti, e insegna Diritto Canonico e Liturgia al seminario della SS. Trinità a Warren, nel Michigan.
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Bibliografia
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Scott, P. “Debate over New Order Mass Status Continues,” Remnant, 31 maggio 1997, 1ff.
[*] Nota di Sodalitium: l’autore segue la posizione “sedevacantista”. Sodalitium accetta la conclusione dell’autore (“Paolo VI non era un vero Papa”... ma stima non dimostrato il motivo della perdita dell’autorità (“non era un vero cattolico”....“Where is the True Catholic Faith ? Is the Novus Ordo Missæ Evil ?”, Angelus, 20 (marzo 1997).
[**] Nota di don Camillo:
Come ho ripetuto più e più volte nei blog tradizionalisti che mi hanno accolto, non è possibile affermare che la nuova Messa sia “in sè” cattiva, giacchè in sé essa, il suo nudo testo, non è altro che in buona sostanza il recupero di testi più antichi e il rimaneggiamento di essi. Se è “cattiva” la nuova Messa, allora furono cattive anche le liturgie antiche da dove i testi della nuova Messa sono stati tratti (ivi compresa la sacra scrittura, giacchè le nuove parole della consacrazione sono prese da san Paolo). Ciò che rende la Messa cattiva “per accidens” è la volontà eretica e scismatica del movimento liturgico e del gruppo dei riformatori, di mettere mano alla liturgia per ottenere un prodotto che potesse essere utilizzato al fine di veicolare una idea di Chiesa diversa da quella tradizionale, e una idea di religione diversa da quella tradizionale.
E' quindi doveroso associare alla nuda lettera, la volontà perversa e l'eresia privata dei soggetti riformatori. Tuttavia va specificato che in sé, la preghiera eucaristica II, ha semmai il difetto della artificiosità e della bruttezza, della disarmonia, ma non dell'eresia; e come per questa preghiera, così anche le altre parti della nuova liturgia non sono “in sè” false, ma semmai discutibili storicamente, filologicamente, criticamente. Tutte riserve che però non intaccano minimamente la validità del rito.
La “cattiveria” della nuova Messa deriva dall'uso cattivo che se ne può fare, unitamente alla formazione modernista che i nuovi cattolici, preti e laici ricevono. Tuttavia, sebbene sia assolutamente riscontrabile questa direzione dall'alto da parte dei vertici della Chiesa nel deragliare la religione trasformandola in una cosa differente, in un'altra religione e un altro culto, non è possibile rintracciare una volontà ufficiale, un ordine solennemente imposto, un obbligo a rinnegare la fede. Né ufficialmente si è negata validità al tomismo, al magistero precedente, e a quant'altro costituiva la religione cattolica.
Le armi utilizzate, se si nota, sono state piuttosto la desuetudine, la prevaricazione (abusiva), l'avanzamento di carriera degli eterodossi, la persecuzione degli ortodossi, la prassi. Non è possibile affermare che la Chiesa abbia costretto le persone ad andare all'inferno o a credere il male, ma certamente ci sono delle colpe nel Papa e nella gerarchia. Colpe soprattutto di omissione, giacchè potendo vigilare e reprimere non lo hanno fatto. Potendo insegnare, non hanno insegnato abbastanza. Potendo essere chiari, sono stati equivoci volutamente. Inoltre vi sono state anche delle colpe in alcuni Papi, che hanno contribuito insegnando errori, e confermando errori già creduti (vedasi papi in sinagoga, ecc.).
La Messa nuova è un rito che pur non essendo assolutamente falso in sé (poiché è potenzialmente valido), a causa della sua ambiguità voluta e ricercata dai suoi ideatori, va inteso comunque come intrinsecamente perverso. Ossia pur non essendo necessariamente dannoso, è stato studiato dai suoi ideatori per esserlo. Il fine primario secondo la mens degli ideatori, è quello di costruire una religione alternativa a quella cattolica tradizionale. Pertanto, il fine intrinseco di questa nuova liturgia (e non dico estrinseco, giacchè se la riforma è stata fatta, è perché c'era un motivo, altrimenti se è come dicono tutti in questo periodo, che la Messa nuova è uguale alla vecchia, che la teologia è la stessa, che le intenzioni sono uguali, che la ermeneutica è in continuità, che il concilio non ha cambiato niente, che tutto il cambiamento stonato è in realtà abusivo e nessuno voleva realmente cambiare nulla, allora qualcuno dovrebbe avere la cortesia di spiegare a cosa ca...spita (!) sono serviti il concilio epocale e la riforma liturgica epocale, se tutto doveva restare identico; quindi intrinseco, se fosse stato estrinseco sarebbe da intenderci nel senso di Ratzinger: la riforma intrinsecamente ha il fine tradizionale, ma estrinsecamente “taluni”, “alcuni” che non hanno capito, la usano abusivamente per sostenere le loro idee private) è perverso, ossia “deviato” rispetto a quello suo proprio, per come la Tradizione ha sempre indicato.
Si potrebbe al massimo obiettare se la volontà dei riformatori (ipotizzando una buona fede di Paolo VI nel promulgare, buona fede che estenderebbe alla liturgia stessa, rendendola intrinseca al rito, così), intendendo Bugnini & co. vada considerata come intrinseca al rito, oppure se essa sia estrinseca. Allora, se è vero che il rito in sé può essere analizzato nella sua nuda lettera (così come il concilio, la bibbia e qualsiasi altra cosa), va anche detto che il criterio di analisi letterale può servire solo per verificare la formale possibilità per il rito di essere valido e validamente utilizzato. Un rito, essendo una creazione umana, non può essere svincolato dalle intenzioni, dalle volontà e dalle intelligenze delle persone che lo hanno posto in essere, e che per così dire ne determinano l'intrinseco indirizzo, ossia il fine.
Si può dire allora che chi applica le intenzioni tradizionali alla liturgia riformata, tradisca in realtà l'intenzione autentica dei riformatori, i quali hanno riformato la liturgia non perché essa rimanesse sostanzialmente identica a quella di prima, ma perché evolvesse nei significati. Ovviamente diversi riformatori hanno applicato diverse intenzioni, e in grado di eresia differente.
Accanto a chi pensava di superare la transustanziazione, la Presenza Reale, il Sacrificio, l'efficacia sacramentale come azione della grazia santificante, c'era chi volendo caricare i sacramenti di nuovi significati conservava anche i vecchi, e chi semplicemente pensava di migliorare la comprensione dei simboli liturgici, lasciando intatti gli effetti. Ma se fosse anche solo questa ultima eventualità, che potremmo definire “pacelliana” (la volontà di chi “restaura” i riti della settimana santa per dare ad essi nuovi simboli più comprensibili dal popolo), sarebbe comunque un tradimento della Tradizione, e un ribaltamento del fine della liturgia (o dei fini della liturgia). Se la prima finalità è la perfezione del culto, mediante la rappresentazione sacra del mistero, l'edificazione partecipativa del popolo rimane un effetto collaterale e nemmeno necessario. Simpatico, importante, ma non “necessario”, ossia non indispensabile, pena la nullità della liturgia. Una Messa privata, ad esempio non edifica e non insegna niente a nessuno. Sarà per questo motivo, che si è abbastanza chiaramente vietata la celebrazione di Messe private, e nelle stesse rubriche del nuovo Messale, si dice che essa è ideologicamente errata, in quanto si illustra la partecipazione del fedele come una delle finalità principali. Non è quindi intrinsecamente ordinata, ma perversa, anche se la si prende con le pinze e la si celebra bene bene.
Ora, il fatto che comunque sia intrinsecamente perversa non significa che essa sia blasfema o che comporti peccato mortale o veniale il celebrarla. Semplicemente si deve riflettere che anche nelle migliori intenzioni, la Messa nuova non può essere intesa come teologicamente identica alla Messa di sempre, che l'intenzione personale può influire e rendere perfetta la celebrazione individuale, ma non può sanare il difetto che a monte è presente nel rito, per volontà di chi lo ha scritto.
Quindi io opto per considerare la volontà dei compilatori come un fattore intrinseco, e non estrinseco, perché sebbene non fossero i legislatori, hanno comunque costruito l'impianto ideologico della nuova liturgia, e come tale lo hanno presentato al Papa, che lo ha approvato.
Quindi nemmeno lui ha proprio questa completa “buona fede”. Ha voluto certamente, e consapevolmente promulgare la nuova liturgia anche perché avesse questi nuovi fini, non ci è dato di sapere se per errore personale (preterintenzionale) o se per convinta volontà. Né abbiamo possibilità di sapere se volesse fare del bene alla Chiesa o del male alla Chiesa (i verruisti dicono che aveva l'intenzione “oggettiva” di fare il male della Chiesa: beati loro che sono in grado di conoscere le intenzioni che sono nel foro interno degli altri). Né abbiamo la possibilità di sapere se nell'approvare questi nuovi “fini”, fosse della scuola di pensiero “minimalista-pacelliana” (nuovi simboli per aiutare a capire di più e a vivere meglio il mistero) o “massimalista-bugniniana” (sostituzione hegeliana di una religione con un'altra). E' semplicemente impossibile pensare che non sapesse, che non abbia fatto alcuna legge cattiva, che fosse neutro, o che non abbia validamente imposto o abrogato la legge. Si deve arrivare, sebbene anche in minima parte, ad ammettere che il Papa ha fatto una cosa negativa, sbagliata. Che disobbedire a questa cosa sbagliata è giusto e doveroso, proprio perché essa è un errore, e che in questa erroneità di un atto del legislatore, risiede il grosso della crisi della Chiesa, che comunque è storicamente, filosoficamente, sociologicamente molto complessa e secolarmente più antica del concilio e della riforma liturgica.
Quindi è possibile rispettare lo spirito della legge liturgica (che è la teologia Tradizionale dei Sacramenti ben espresso nel Culto Tradizionale integro e omogeneo) in epikeia anche violando la lettera delle leggi (a cui è legata indissolubilmente la volontà perversa e l'eresia privata dei soggetti riformatori, così come abbiamo spiegato sopra), nella fattispecie delle riforme degli anni 50-70.
L’Epikeia infatti è un principio giuridico “di un’azione virtuosa, e quindi eccellente” [GAETANO, Commento quaestio 120 della Secunda Secundae Summa Theologiae, Typographia Poliglotta S.C. De Propaganda Fide, Roma 1891.] che interviene solo in foro interno per scusare dall'obbligo di una legge in tale caso particolare. È quindi un giudizio prudente con il quale, a motivo della volontà del legislatore rettamente conosciuta, stabiliamo che la legge non obbliga in qualche caso particolare. Oppure una benigna interpretazione delle leggi in conformità al giusto e al bene, dichiarante che qualche caso particolare, secondo la ragionevole e umana intenzione del legislatore, per le sue circostanze speciali, che giustamente si ritiene non avesse voluto comprendere nella legge universale, non è contemplato dalla legge. (Cfr. E. HAMEL, Epicheia, in Dizionario enciclopedico di teologia morale, ed. Paoline, Roma 1973 ed. 2a, 332-339).
Quindi difronte alla confusione che si è generata con "l'abrogazione" della vigenza, della norma giuridica liturgiche posteriore a quella vigente, che viene dichiarata, ma non dimostrata canonicamente - dal Sommo Legislatore - "mai abrogata", chi ha il dovere di celebrare, vedrà di esercitare l'epikeia secondo coscienza e secondo quella che sarà l'opportunità del caso concreto, ricordandosi anche il dovere della prudenza e di evitare gli scandali, anche per evitare di finire di fare dei danni dicendo la verità. Sarà quindi legittimato a celebrare il nuovo rito se obbligato dai superiori, ovviamente perfezionando le singole celebrazioni, con quel supplemento di intenzione che non è richiesto né più di moda, ma che è quanto disposto dalla Tradizione per essere conforme alla Tradizione stessa nonostante questo culto perverso. Sapendo però come stanno le cose, dovrà cercare quanto meno di rifiutare lo spirito e la lettera delle riforme per quanto gli sia possibile, ad esempio celebrando con la liturgia di sempre le Messe non comandate, educando alla teologia di sempre i propri sudditi e sottoposti, migliorando la liturgia nuova con qualche accorgimento d'emergenza tratto dalla Tradizione liturgica. [Come per esempio utilizzare SOLO il Canone Romano e il sostituire all'offertorio nuovo - l'offertorio tradizionale, il tutto pronunciato sottovoce, così come le norme nuove e tradizionali comunque prescrivono, (così anche da non farsi sgamare da improvvisati neo-liturgisti, pronti a denunciarti, così per farsi belli) aspettando tempi migliori].
Considerandosi in stato di necessità permanente, e in stato di crisi, come se fosse in tempo di guerra, permanentemente sempre avendo la consapevolezza di sforzarsi il più possibile per tendere verso l'optimum del culto, rifiutando quindi tutte quelle riforme liturgiche artificiali che han inquinato il Messale Tridentino operate dal Mons. Bugnini negli anni '54-'62-'65-'69 adottando senza riserve il Messale del 1952. Questo implica necessariamente la consapevolezza della crisi della Chiesa, per come è stata esposta, e la consapevolezza di agire secondo epikeia a causa dello stato di necessità.
Diversamente credo che sia quantomeno illecita la posizione tanto di chi celebrasse la Messa nuova credendo ingenuamente nell'ermeneutica della continuità tra prima e dopo e decisamente illecita la posizione di chi celebrasse la Messa Tradizionale usufruendo del Motu Proprio, sostenendo che le due forme di liturgia si equivalgono e che non esiste in alcun modo una intrinsecità della crisi della Chiesa.
Fatta salva l'ignoranza e la buona fede, da cui derivano certamente errori che sanano la posizione dei più (che manco vanno a pensare a crisi e non crisi), meno felice è secondo me la posizione dei sacerdoti “conservatori” come quelli dell'Opus Dei (che hanno capito talmente bene che la Messa nuova è uguale alla vecchia, che infatti non se ne vede la differenza...) o dei “tradizionalisti dal volto umano” convinti biritualisti, alla Bux, magari propugnatori di una autodemolizione e ricostituzione della liturgia, mediante la riforma della riforma una liturgia romana latina 2.0 o di questa sorta di indefinita e stupefacente (e a me sembra anche un po' porcareccia) "fecondazione".
Pertanto concludendo la nota che rettifica la posizione di Cekada, non si può dire che sia venuta meno la “Chiesa di cristo”, ma piuttosto che sia venuta meno la Chiesa cattolica estrinsecamente intesa. Fermo restando quanto si può dire sul fatto che la Chiesa di Cristo sussista realmente anche al di fuori della giurisdizione papista (gli ortodossi, guardando il panorama chiesastico odierno, checchè se ne dica, sembran proprio più "cattolici" di certi latini super approvati e pompati: cfr. neocatecumenali), così come che la Chiesa “cattolica” sopravviva nei vari rimasugli dei piccoli resti, le famose persone consapevoli, vigili sentinelle formate, che hanno aperto gli occhi, consci della crisi, ecc. l'istituzione gerarchica è comunque compromessa, così come l'apparato educativo, il collegio cardinalizio, l'episcopato, il laicato, ecc.
Pressochè impossibile ipotizzare una “restaurazione”. Non so come valutare le promesse di Cristo sull'indefettibilità. Potrebbe essere che il piccolo resto prosegua per secoli, diventando sempre più esiguo, lasciando cani e porci in cabina di pilotaggio: sarebbe comunque rispettata l'indefettibilità (e non è il Papa che fa la Chiesa, giacchè non è il capo, ma il vicario del Capo). Potrebbe tornare un nuovo san Pio X. Non ne ho idea.
Fatto sta che nella finzione scemica dei sedevacantisti, ciò che è in cancrena non è la “Chiesa” (sono solo loro la "chiesa", e loro sono a posto), per cui salvano l'indefettibilità, ricamata attorno ad un concetto idolatrico di Papato e di Chiesa, in questo modo. Per i non sedevacantisti, basta guardare fuori dalla finestra per rendersi conto che ciò che doveva essere indefettibile (in teoria), la cosa che doveva resistere immutabile agli attacchi diabolici, sembra morta da 60 anni, e sembra anche putrefatta alla svelta [e c'è qualcuno che dice che ancora deve venire la "grande Apostasia", quando è proprio per colpa di questa ben profondamente radicata, che c'è stato tutto questo sfascio]. E' evidente, che se non si vuole dare del bugiardo a Cristo, e non si vuole passare per deficienti negando l'evidenza, occorre guardare il concetto di “indefettibilità” e di “infallibilità”, smarcandosi dai modelli classici trionfalistici "regali" di un passato purtroppo già tramontato all'indomani del CVI.
Di certo una esaltazione del Papa-re, come ne fanno i tradizionalisti, magari rileggendola con le categorie del fascismo, sognando un Papa-duce che torni e tutto comandi e controlli è (auspicabile ma ben credo solo nei miei sogni ma) improponibile, irrealizzabile, forse mostruosa e assolutamente incompatibile con qualsivoglia intento ecumenico odierno (ossia di riunificazione delle due chiese, non di dialogo). Se c'è un senso nella storia, la crisi, chissà, potrebbe avere il significato di spingere al ricentramento, al ricompattamento della teologia sul primato, dopo secoli di deriva (secoli di deriva che hanno causato, in buona sostanza, la crisi stessa).
Umanamente tutto sembra perduto, ma sappiamo che proprio quando tutto sembra perduto, il Signore ci invita a guardare in alto per scorgere tra le nubi oscure, proprio il suo ritorno! Allora Maranatha!
Note
1)P. Hermann, Institutiones Theol. Dogm., Roma, 1904, estratto 1:258. Altri teologi come Van Noort, Dorsch, Schultes, Zubizarreta, Irragui e Salaverri definiscono più o meno allo stesso modo la missione della Chiesa. Per i riferimenti e le citazioni, occorre rifarsi al mio studio: Traditionalists, Infallibility and the Pope.
2) Per averne una copia gratuita potete rivolgersi a: Saint Gertrude the Great Church, 11144 Reading Road, Cincinnati OH 45241, 513-769-5211, www.sgg.org
3) “Where is the True Catholic Faith ? Is the Novus Ordo Missæ Evil?” Angelus 20 (marzo 1997) 38.
4) “Was the Perpetual Indult Accorded by Saint Pius V Abrogated?” Angelus 22 (Dicembre1999) 30-31.
5) “Where is...?” 34. La sottolineatura è dell’autore
6) “Where is... ?” 35.
7) “Where is... ?” 35-36. La sottolineatura è nostra.
8) M. Lohmuller, Promulgation of Law (Washington: CUA Press 1947), 4.
9) Canone 9. “Leges ab Apostolica Sede latæ pro-mulgantur per editionem in Actorum Apostolicæ Sedis commentario officiali, nisi in casibus particularibus alius promulgandi modus fuerit præscriptus”.
10) Canone 9. “Et vim suam exserunt tantum exple-tis tribus mensibus a die qui Actorum numero appositus est, nisi ex natura rei illico ligent aut in ipsa lege brevior vel longior vacatio specialiter et expresse fuerit statuta”.
11) Ordo Missæ: Editio Typica (Typis Polyglottis Vaticanis: 1969). Il nuovo ordine delle Sacre Scritture (lezionario) apparve nel maggio 1969. Il Messale completo, contenente le nuove orazioni per le domeniche, i tempi liturgici e le feste, appare soltanto nel 1970.
12) AAS 61 (1969) 217-222.
13) “... novas normas... proponi”. Il verbo adoperato (proponi) è usato nel significato post-classico di “imporre” come ad esempio “imporre una legge”. Vedi Lewis & Short, A New Latin Dictionary 2a ed. (New York: 1907) 1471, col. 2.
14) “Ut eidem Precationi tres novi Canones adde-rentur statuimus.” “Statuo” con “ut” o col “ne” possiede il senso di “decretare, ordinare”. Vedi Lewis & Short, 1753, col. 3
15) “jussimus”.
16) “volumus”.
17) “Quæ Constitutione hac Nostra præscripsimus vigere incipient.”
18)“Nostra hæc autem statuta et præscripta nunc et in posterum firma et efficacia esse et fore volumus”.
19) “Indulto Perpetuo”, 30.
20) P. Oppenheim, Tractatus de Iure Liturgico (Torino Marietti 1939). 2:56. “verba autem...’statuit’,... ‘præcepit’, ‘jussit’, et similia, manifeste strictam obligationem denotat”. La sottolineatura è dell’autore.
21) Per timore che qualcuno dica che il riferimento non è chiaro, è da notare che fra gli “statuta et præscripta” precedenti, c’erano le “nuove regole imposte” dall’Istruzione Generale (“novas normas... proponi”... per la celebrazione della Messa.
22)“Volumus autem et eadem auctoritate decernimus, ut post hujus Nostræ constitutionis, ac missalis editionem, qui in Romana adsunt Curia Presbyteri, post mensem... juxta illud Missam decantare, vel legere teneantur”.
23) Vedi Lewis & Short, A New Latin Dictionary, 2004, col. 1; 2006, col. 2. “of the wishes of those that have a right to command… it is my will” [“Per volere di coloro che hanno il diritto di comandare... è mia volontà”. Will in inglese, ha il senso molto forte di volere. NDT].
24) [Nel testo inglese letteralmente: canard (in italiano anatra), dove canard è sinonimo di scherzo, burla; in effetti in francese canard significa “frottola” “falsa notizia”. L’autore aggiunge che “canard” è anche la traduzione della parola inglese “duck” (il maschio dell’anatra) e qui il riferimento è particolarmente appropriato, perché questa particolare anatra, come il gallo-banderuola che sta sui campanili, non tiene mai a lungo la stessa direzione. Ndt.]
25)“Indulto Perpetuo”, 28-29.
26) Canone 22. “Lex posterior, a competenti auctoritate lata, obrogat priori, si id expresse edicat, aut sit illi directe contraria, aut totam de integro ordinet legis prioris materiam; sed firmo præscripto...” La sottolineatura è nostra.
27) La discussione verteva spesso sui diversi termini tecnici del diritto canonico, come abrogazione, proposta di modifica, deroga e surrogazione. Generalmente i partecipanti non avevano la minima idea di quello che si stava trattando; il che era abbastanza comprensibile. Persino esperti commentatori del Codice non sono sempre coerenti con l’uso di questi termini.
28) Se questa fosse stata l’intenzione del legislatore, avrebbe potuto usare il termine latino per “nominatamente” (nominatim) anziché il termine “esplicitamente” (expresse).
29) “...non obstantibus, quatenus opus sit, Constitu-tionibus et Ordinationibus Apostolicis a Decessoribus Nostris editis, ceterisque præscriptionibus etiam peculiari mentione et derogatione dignis”.
30) Vedi A. Cicognani, Canon Law, 2a ed. (West-minster MD: Newman 1934) 81ff. “Le costituzioni papali sono degli Atti Pontifici che hanno le seguenti caratteristiche: 1- Sono emanate direttamente dal Sommo Pontefice, 2- sono presentate motu proprio, - 3- presentano la forma solenne di una Bolla, 4- riguardano materie di grande importanza come principalmente il bene della Chiesa”.
31) Canon Law, 629. La sottolineatura è dell’autore.
32) “Non obstantibus præmissis, ac constitutioni-bus, et ordinationibus Apostolicis… statutis et consuetudinibus contrariis quibuscumque”.
33) Negli anni ‘80, la Fraternità diffondeva la tipica storia romana: un gruppo di canonisti convocati dal Vaticano, avrebbe studiato la posizione legale della vecchia Messa e avrebbe concluso che Quo Primum non era mai stata abrogata. Anche se il fatto fosse vero, la questione è discutibile: 1) Il legislatore non pubblicò nessun decreto autorevole e interpretativo, a questo scopo. 2) L’abrogazione è l’unica conclusione possibile dopo aver esaminato i decreti promulgati dal Vaticano. 3) Il legislatore (cioè il Vaticano modernista) permette la Messa tradizionale solo con l’indulto: una facoltà o un favore accordati temporaneamente, sia in contrasto con la legge, sia al di fuori di essa. Se la vecchia legge non era stata abrogata, non sarebbe stato necessario l’indulto.
34) “Where is… ?” 35 et alii.
35) AAS 61 (1969) 749-753 “gradatim ad effectum deducenda”.
36) “statuitur ut… adhibeantur”.
37) “approbante Summo Pontifice, eas quae sequuntur statuit normas.”
38) “diem… constituant”. “necesse erit usurpare”.
39) “decernant.” “adhiberi jubebuntur.” Per paura che qualcuno dica che questi paragrafi significano che le conferenze episcopali, e non Paolo VI, “promulgarono” la Nuova Messa, facciamo notare: questi provvedimenti delegavano semplicemente il potere di prolungare la vacatio legis, che è, ripetiamo, il periodo tra la promulgazione di una legge e la sua entrata in vigore.
40) “Præsentem Instructionem Summus Pontifex Paulus Pp. VI die 18 mensis octobris 1969 approbavit, et publici juris fierit jussit, ut ab omnibus ad quos spectat accurate servetur”.
41) AAS 62 (1970), 554.
42) “de mandato ejusdem Summi Pontificis… pro-mulgat”.
43) AAS 63 (1971) 712-715.
44) “approbante Summo Pontifice, quæ sequuntur statuit normas”. In latino “norma” significa: legge, regola, precetto, perciò il primo libro del Codice di diritto canonico è detto “Normæ generales”..
45) “assumi debebunt, tum iis etiam qui lingua latina uti pergunt, instaurata tantum Missæ et Liturgiæ Ho-rarum forma adhidenda erit”.
46) Notitiæ 10 (1974), 353.
47) “tunc sive lingua latina sive lingua vernacula missam celebrare licet tantummodo juxta ritum Missalis Romani auctoritate Pauli VI promulgati, die 3 mensis Aprilis 1969”. Sottolineatura nell’originale.
48) “et nonosbtante prætextu cujusvis consuetudinis etiam immemoriabilis”.
49) “Where is… ?” 36.
50) Canone 17.2. “et si verba legis in se certa declaret tantum, promulgatione non eget et valet retrorsum”.
51) A. Bugnini, La Riforma Liturgica (1948-1975), (Roma: CLV-Edizioni Liturgiche 1983) 298: “Il testo definitivo fu approvato dal Santo Padre, il 28 ottobre 1974, con le parole “Sta bene. P.”
52) Canone 30: “…consuetudo contra legem vel præter legem per contrariam consuetudinem aut legem revocatur; nisi expressam de iisdem mentionem fecerit, lex non revocat consuetudines centenarias aut immemorabiles”.
53) Vedi Cicognani, 662-3.
54) “Indulto Perpetuo”, 30-31.
55) Canone 17.1. “Leges authentice interpretatur legislator ejusve successor et is cui potestas interpretandi fuerit ab eisdem commissa”.
56) M. Coronata, Institutiones Juris Canonici 4a ed. (Torino: Marietti 1950 ) 1: 24: “Quis interpretari possit… per modum legis ecclesiasticæ leges interpretan-tur: Romanus Pontifex, Sacræ Congregationes pro sua quæquæ provincia”.
57) Vedi Abbo & Hannon, The Sacred Canons, 2a ed. (St Louis: Herder 1960) 1:34.
58) “Præfatis autem documentis, statuitur ut… adhibeantur”.
59) Canone 17.2. “Interpretatio authentica, per mo-dum legis exhibita, eandem vim habet ac lex ipsa”.
60) “Where is…?” 36.
61) “Debate over New Order Mass Status Conti-nues”, Remnant, 31 maggio 1997, 1.
62) Vedi D. Prümmer, Manuale Juris Canonici (Freiburg: Herder 1927) 4. “b) Ratione extensionis jus ecclesiasticum dividitur: a. in jus universale, quod obligat in toto orbe christiano, et jus particulare, quod viget tantum in aliquo territorio determinato… e) Ratione ritus jus distinguitur in jus Ecclesiæ occidentalis et jus Ecclesiæ orientalis.” La sottolineatura è dell’autore. Vedi anche G. Michiels, Normæ Generales Juris Canonici 2a ed. (Paris, Desclée 1949) 1:14.
63) Oppenheim 2:54 “Quæ decreta pro universa Ecclesia… rationem veræ legis habere, nemo est qui dubitet”. La sottolineatura è dell’autore.
64)Oppenheim 2:63. “Decreta generalia quæ ad universam Ecclesiam (ritus romani) diriguntur, vim legis habent universalis.” La sottolineatura è dell’autore.
65) SRC Decr. 2916, 23 maggio 1846. “An Decreta a Sacra Rituum Congregatione emanata et responsiones quæcumquæ ab ipsa propositis dubiis scripto formiter editæ, eamdem habeant auctoritatem ac si immediate ab ipso Summo Pontifice promanarent, quamvis nulla facta fuerit de iisdem relatio Sanctitati Suæ ?… Affirmative”.
66) “…quiddam nunc cogere et efficere placet”.