O cara veste nera, si fa da anni un gran parlare di te. Nel volume su L'attività della Santa Sede nel 1958 era detto: "Attese le varie richieste pervenute circa l'abito talare, è stata iniziata una vasta indagine sulla questione della forma dell'abito ecclesiastico, ed è stata concessa agli ordinari diocesani (cioè ai Vescovi) qualche facoltà di dispensa, in casi particolari, ferma sempre restando la regola di usare la veste talare nell'esercizio della potestà di ordine e di giurisdizione".
Queste poche righe hanno dato origine a mille discussioni. E le fantasie hanno galoppato. Alcuni si sono appellati alla storia, dal secolo V ai Concili Lateranense IV (1213) e Viennese (1312), che agli ecclesiastici imposero un abito diverso dal comune, da Sisto V a Pio IX. Altri hanno fatto ricorso alla moda dei paesi tedeschi ed anglosassoni, che concedono ai sacerdoti l'abito cosidetto alla "clergyman", pur imponendo la "talare", come esige il Codice di Diritto canonico, nelle funzioni sacerdotali. Altri hanno rievocato i tempi della Rivoluzione francese, quando anche in Paesi latini - come oggi nelle terre comuniste - il clero, a causa della persecuzione, non si distingueva affatto per i suoi abiti dai laici. Altri, infine, hanno osservato che "la veste talare, oltre ad essere fastidiosa d'estate e ingombrante sempre, diventa un ridicolo intralcio ed anche un reale pericolo quando, proprio per ragioni del suo ministero, il prete deve usare la bicicletta e la motoreta", mezzi diventati, ormai, indispensabili per chi è in cura d'anime. Nè è da omettersi, hanno aggiunto, "la tendenza del clero non ad isolarsi in una torre d'avorio, ma ad accostarsi il più possibile alla vita del popolo cristiano affidato alle sue cure, a dividerne le sofferenze e le contrarietà".
Cara mia veste nera, pur sapendo che non si tratta di una questione sostanziale, io non ho potuto fare a meno di guardarti e di meditarti. Sono giovane e ti voglio bene. Tu mi perdonerai se io non mi interesso degli argomenti accennati. Non voglio discuterli. Solo voglio dire a te una parola. Ti porto da decenni.
Che emozione quando venne il sarto in Seminario: "deve prendere le misure", ero fiero ed emozionato, mi sembrava che stesse prendendo le misure per un'armatura invincibile, e sì, lo sarebbe proprio diventata.
Ricordi, mia cara veste nera, il giorno della mia vestizione?
Nel giorno della Madonna, una gioia così grande non l'ebbi manco il giorno della mia Ordinazione Sacerdotale. La benedizione del Rettore, con l'acqua benedetta mi sembrava un'investitura d'altri tempi, mi sentivo pronto alla battaglia con il Signore e per il Signore tutto dedito alla salvezza delle Anime.
Com'ero felice, o mia cara veste nera! Potevo io concepire un tesoro più grande e più prezioso di te? Lo fosti sempre durante i miei anni di Seminario e in seguito per tutta la mia vita. In Seminario subito mi hanno insegnato a baciarti, quando alla sera mi spogliavo per andare al riposo. Quanti baci e di che cuore! O veste nera della mia prima Messa e di tante Messe celebrate e di tanti azioni sacerdotali compiute! O veste nera, che accanto al letto dei morenti avevi ed hai un significato ed un tuo singolare linguaggio! O veste nera, che non mi hai mai costretto ad isolarmi in una "torre d'avorio", pur ricordandomi in ogni occasione il mio sacerdozio, anche nel fervore di dispute accese e nelle battaglie per la difesa della verità, in congressi, in associazioni, nelle scuole!
Tu hai conosciuto talvolta, soprattutto in alcuni tempi, l'insulto villano del teppista, e il dileggio del suprestizioso; ma quanto in quei momenti sono stato fiero di te e ti ho amato! T'ho riguardata sempre come una bandiera...bandiera nera, sì. Simbolo di morte, ma non potevo vergognarmi, perchè mi simboleggiavi il Crocifisso, che, appunto perchè tale, è risurrezione e vita. Ora che sentendo discorrere di te, ho capito sempre più e sempre meglio che ti amo tanto. Non so se ti modificheranno, se ti sostituiranno, se ti aboliranno. Avranno le loro ragioni, forse. Anzi, se scoppiasse una persecuzione e ti strapperebbero da me, non importa. Persino in questo caso, farò di tutto per riaverti, perchè tu fai parte della mia pelle. E lo sarai per sempre. Quando chiuderò gli occhi, voglio che tu scenda con me nella tomba. Rivestito di te, avvolto nelle tue pieghe, dormirò più tranquillo il sonno della morte. Più non potrò darti il bacio del mio affetto. Il mio cuore più non batterà. Ma se qualcuno potesse leggere nelle sue fibre più profonde, troverebbe scolpita una parola di amore e di fierezza per te, o cara e dilettissima veste nera...
don Camillo
Liberamente tratta dall'opera "Alla mia veste nera" (di Mons. F. Olgiati).