Discorso che a me ha fatto tanto bene! Mi domando se questo semplice elenco, che tutti conosciamo se fosse stato oggetto di approfondimento nei seminari, forse oggi non raccoglieremo i cocci di un clero senza identità, in cerca di dignità! Troppo tardi, troppo tardi!
PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Sala Clementina
Lunedì, 22 dicembre 2014
La Curia Romana e il Corpo di Cristo
“Tu sei sopra i cherubini, tu che hai cambiato la miserabile condizione del mondo quando ti sei fatto come noi” (Sant'Atanasio)
Cari fratelli,
Al termine dell’Avvento ci incontriamo per i tradizionali saluti. Tra
qualche giorno avremo la gioia di celebrare il Natale del Signore;
l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la manifestazione
dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci
qualche messaggio o taluni messaggeri ma dona a noi sé stesso; il
mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana e i nostri
peccati per rivelarci la sua Vita divina, la sua grazia immensa e il
suo perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà
della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti,
il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente
“eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del
Signore.
Innanzitutto, vorrei augurare a tutti voi - collaboratori, fratelli e
sorelle, Rappresentanti pontifici sparsi per il mondo - e a tutti i
vostri cari un santo Natale e un felice Anno Nuovo. Desidero
ringraziarvi cordialmente, per il vostro impegno quotidiano al servizio
della Santa Sede, della Chiesa Cattolica, delle Chiese particolari e del
Successore di Pietro.
Essendo noi persone e non numeri o soltanto denominazioni, ricordo in
maniera particolare coloro che, durante questo anno, hanno terminato il
loro servizio per raggiunti limiti di età o per aver assunto altri
ruoli oppure perché sono stati chiamati alla Casa del Padre. Anche a
tutti loro e ai loro famigliari va il mio pensiero e gratitudine.
Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito
ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando, per gli eventi vissuti e
per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso
il servizio della Santa Sede, chiedendogli umilmente perdono per le
mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”.
E partendo proprio da questa richiesta di perdono, vorrei che questo
nostro incontro e le riflessioni che condividerò con voi diventassero,
per tutti noi, un sostegno e uno stimolo a un vero esame di coscienza
per preparare il nostro cuore al Santo Natale.
Pensando a questo nostro incontro mi è venuta in mente l’immagine
della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù Cristo. È un’espressione che,
come ebbe a spiegare il Papa
Pio XII, «scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri»
[1].
Al riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo, pur essendo uno,
ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo
solo, così anche Cristo» (
1 Cor 12,12)
[2].
In questo senso il
Concilio Vaticano II
ci ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una
diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per
l'utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con
magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei
ministeri (cfr.
1 Cor 12,1-11)»
[3]. Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” -
Christus totus -. La Chiesa è una con Cristo»
[4].
E’ bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della
Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di
essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con
Cristo.
In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti
Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni e da numerosi
elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono coordinati per
un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare,
nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi
membri
[5].
Comunque, essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere
senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia - come la Chiesa - non
può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo
con Cristo
[6].
Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel Cibo
diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero
impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato
lontano. La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai
Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla riconciliazione,
il contatto quotidiano con la parola di Dio e la spiritualità tradotta
in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia
chiaro a tutti noi che senza di Lui non potremo fare nulla (cfr
Gv 15, 8).
Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio alimenta e rafforza anche la
comunione con gli altri, cioè tanto più siamo intimamente congiunti a
Dio tanto più siamo uniti tra di noi perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.
La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in
comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione
[7]. Eppure essa, come ogni corpo, come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità
.
E qui vorrei menzionare alcune di queste probabili malattie, malattie
curiali. Sono malattie più abituali nella nostra vita di Curia. Sono
malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore.
Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie - sulla strada dei
Padri del deserto, che facevano quei cataloghi - di cui parliamo oggi:
ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione, che sarà un
bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.
1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura
“indispensabile” trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia
che non si
autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di
migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci
potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni
forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la
malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente
(cfr
Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si trasformano in
padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa
deriva spesso dalla patologia del potere, dal “
complesso degli Eletti”,
dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non
vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei
più deboli e bisognosi
[8].
L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di
dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto
dovevamo fare» (
Lc 17, 10).
2. Un’altra: La malattia del “martalismo” (che viene da Marta),
dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro,
trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc
6,31) perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e
all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la
propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel
trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie
come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che
insegna il Qoèlet che «c’è un tempo per ogni cosa» (3,1-15).
3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale:
ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e un “duro collo” (
At
7,51-60); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore,
la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “
macchine di pratiche” e non “
uomini di Dio” (cfr
Eb
3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci
piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la
malattia di coloro che perdono “
i sentimenti di Gesù” (cfr
Fil
2,5-11) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e
diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo
(cfr
Mt 22,34-40). Essere cristiano, infatti, significa «
avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (
Fil 2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità
[9].
4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo.
Quando l'apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una
perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano,
diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è
necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e
pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande,
più generosa di ogni umana pianificazione (cfr
Gv 3,8). Si cade
in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle
proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra
fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di
regolarlo e di addomesticarlo… - addomesticare lo Spirito Santo! - …
Egli è freschezza, fantasia, novità»
[10].
5. La malattia del cattivo coordinamento. Quando i membri perdono la
comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità
e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso,
perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di
comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno
di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e
scandalo.
6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la
dimenticanza della “storia della salvezza”, della storia personale con
il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap
alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività
autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute
spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del
loro incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso
deuteronomico della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro
presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che
costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini diventando, sempre
di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.
7. La malattia della rivalità e della vanagloria
[11].
Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza
diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San
Paolo: «
Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di
voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso.
Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (
Fil
2,1-4). È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a
vivere un falso “misticismo” e un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo
li definisce «
nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (
Fil 3,19).
8. La malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di
coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del
mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli
accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro
che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende
burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone
concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte
tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una
vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto urgente e
indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).
9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei
pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte ma mai
abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo
per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola
diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti
casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e
confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il
coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci
ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-18). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!
10. La malattia di divinizzare i capi: è la malattia di coloro che
corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono
vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non
Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio
pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono
dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale
egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche
i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere
la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato
finale è una vera complicità.
11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno
pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti
umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei
colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si
tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri.
Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro
cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.
12. La malattia della faccia funerea. Ossia delle persone burbere e
arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il
volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto
quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In
realtà, la
severità teatrale e il
pessimismo sterile[12]
sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve
sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra
che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore
felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno
a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso,
pieno di
humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili
[13]. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More
[14]: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.
13.La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un
vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per
necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale
potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” e
tutti i nostri tesori terreni - anche se sono regali - non potranno mai
riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più
profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: sono ricco,
mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un
infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo ... Sii dunque zelante e
convertiti» (Ap 3,17-19). L’accumulo appesantisce solamente e
rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i
gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”.
Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un
camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì
dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad
osservare: questa sarebbe la “cavalleria leggera della Chiesa?”. I nostri traslochi sono un segno di questa malattia.
14.La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto
diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo
stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con
il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che
minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali –
specialmente ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il
“fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo
[15]. È il male che colpisce dal di dentro
[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (
Lc 11,17).
15.E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi
[17],
quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere
in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle
persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale
scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri,
perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e
dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male
al Corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo
pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della
trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che
chiamava i giornalisti per raccontare loro - e inventare - delle cose
private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava
solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva “
potente e avvincente”, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!
Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un
pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione,
parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello
individuale sia comunitario.
Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo - l’anima del Corpo
Mistico di Cristo, come afferma il Credo Niceno-Costantinopolitano:
«Credo... nello Spirito Santo, Signore e
vivificatore» - a
guarire ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero
sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a
farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e
al suo indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia
[18]:
“Ipse harmonia est”, dice san Basilio. Sant’Agostino ci dice: «Finché
una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che
invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi»
[19].
La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e
della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando
pazientemente e con perseveranza la cura
[20].
Dunque, siamo chiamati - in questo tempo di Natale e per tutto il
tempo del nostro servizio e della nostra esistenza - a vivere «secondo
la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di
lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e
connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia
propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare
se stesso nella carità» (Ef 4,15-16).
Cari fratelli!
Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia
solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e
pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica ma anche molto vera,
perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio
sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a
tutto il corpo della Chiesa.
Dunque, per non cadere in questi giorni in cui ci prepariamo alla
Confessione, chiediamo alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della
Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di noi porta nel suo
cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e
risanatrici; sante e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la
salvezza nostra e del mondo intero. Chiediamo a Lei di farci amare la
Chiesa come l’ha amata Cristo, suo figlio e nostro Signore, e di avere
il coraggio di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia
e di non aver paura di abbandonare la nostra mano tra le sue mani
materne.
Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e
ai vostri collaboratori. E, per favore, non dimenticate di pregare per
me! Grazie di cuore!
[1] Egli afferma che la Chiesa, essendo
mysticum Corpus Christi, «richiede anche una moltitudine di
membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E
come nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre, gli altri
risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i
singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli
altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo conforto
sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il Corpo … un Corpo
costituito non da una qualsiasi congerie di membra, ma deve essere
fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo
compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo
specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una retta
disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse» (Enc.
Mystici Corporis, Parte Prima:
AAS 35 [1943], 200).
[2] Cfr
Rm
12,5: «Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo
e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri».
[4]
Da ricordare che “il paragone della Chiesa con il corpo illumina
l'intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata
attorno a Lui; è unificata in Lui, nel suo Corpo. Tre aspetti della
Chiesa-Corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare:
l'unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo” Cfr.
Catechismo della Chiesa Cattolica, N. 789 e 795.
[6] Gesù più volte aveva fatto conoscere l’unione che i fedeli debbono avere con Lui: “
Come
il tralcio non può portar frutto da sé stesso se non rimane unito alla
vite, così neanche voi, se non rimarrete uniti in Me. Io sono la vite,
voi i tralci” (Gv 15, 4-5).
[14]
Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire.
Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla.
Donami, Signore, un'anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò
che è buono e non si spaventi alla vista del male ma piuttosto trovi
sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un'anima che non
conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere
che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si
chiama "io". Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la
grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po' di
gioia e farne parte anche agli altri. Amen.
[18] “Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli
dà la vita,
suscita i differenti carismi che arricchiscono il Popolo di Dio e, soprattutto,
crea l’unità
tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il Corpo di Cristo… Lo
Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella
carità, unità nella coesione interiore” (Francesco,
Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014).
[19] August. Serm., CXXXVII, 1;
Migne, P. L., XXXVIII, 754.